C’è stato un momento in cui sembrava che se non si abolivano di colpo o si riducevano sensibilmente le province non sarebbe stato possibile salvare l’Italia dalla crisi. La moda del momento, alimentata da media irresponsabili e da politici privi di una qualsiasi capacità di giudizio non gregario, lo imponeva. Ed allora via alla campagna contro le provincie! Che non era solo contro quelle inutili, quelle ingiustificate dalla storia, quelle eccessivamente dispendiose, quelle realizzate solo per ragioni poco commendevoli di brutale clientela.
Era contro l’istituzione in sé. Senza uno studio preventivo, una qualsiasi approfondimento, una qualche valutazione un minimo ponderata sulla conservazione o meno di una istituzione che nel nostro paese risale ai secoli passati e che rispecchia storie e tradizioni antiche. Sappiamo tutti come sia andata a finire questa moda contro le province. Adesso che è esploso il caso delle regioni e degli inverecondi e criminali sprechi che vi si consumavano, nessuno pensa più alla loro abolizione. Adesso è di moda sui media che contano, e sempre con l’immediata adesione dei politici privi di capacità di giudizio autonomo e carichi solo di incontenibile tendenza gregaria, di lanciare la campagne della riduzione dei costi delle regioni attraverso il loro accorpamento in tre macroregioni specifiche: quella del Nord, quella del Centro e quella del Sud e delle isole.
Su quali ricerche, studi, approfondimenti e valutazioni poggia questa campagna per la formazione di tre macroregioni? I più attenti ricordano uno studio della Fondazione Agnelli risalente all’inizio degli anni ‘90 in cui in cui si proponeva la formazione di grandi aggregazioni tra regioni omologhe o, più semplicemente vicine. I più acculturati citano Miglio o Cattaneo. Ma nessuno esamina la questione con un minimo di discernimento, tenendo conto della storia, della geografia e, soprattutto, delle enormi trasformazioni subite dal nostro paese da quando Miglio e la Fondazione Agnelli (lasciamo da parte Cattaneo che fa parte di un secolo diverso ) pensavano alla tripartizione del territorio.
Ma chi teorizza le macroregioni tiene solo conto della preoccupazione di risparmiare, guarda casa proprio quella preoccupazione di cui i teorizzatori non si sono mai preoccupati in tutti gli anni del regionalismo dissennato e clientelare.
La logica è semplice, come quella usata per le province: per risparmiare non c’è altra strada che accorpare. Anche la Sardegna e la Sicilia? Certo, visto che sono isole. Anche la Puglia con la Calabria? Ovvio, sempre Sud sono. E, ovviamente e prima di tutto, vanno accorpate la Lombardia, il Piemonte ed il Veneto. Che comunque sono il Nord padano, magari senza ampolla del Po ed in parte deindustralizzato, ma che sempre il Nord rappresentano. E la Romagna che fine fa? Torna a far parte di un centro che ricalca gli antichi stati della Chiesa? E la Toscana? Per non scontentare troppo il giovane Renzi si riesumano i Lorena o qualche discendente dei Medici ? Queste domande ironiche e pretestuose non hanno risposta. Perché chi teorizza le macroregioni pensa in realtà solo a quella del Nord e del resto del paese se ne infischia allegramente. Nella convinzione, spesso neppure nascosta ma addirittura esibita, che se il Nord (ma Trento e Trieste fanno parte di questa area o sono escluse come ovviamente lo deve essere l’Alto Adige-Sud Tirolo) diventa autonomo la parte restante della penisola può anche sprofondare in Africa e partecipare alle primavere arabe.
Ma se questa è la logica non vale la pena neppure di discutere. Aspettiamo che la piena modaiola passi. Possibilmente senza provocare danni eccessivi.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:17