Vendola, il Pd e il nuovo che non avanza

La differenza tra il centrodestra e la sinistra è che mentre la classe dirigente dello schieramento moderato si disintegra in mille pezzi per l’esplosione delle proprie infinite contraddizioni interne, quella dello schieramento progressista si chiude in un bunker inaccessibile per resistere a qualsiasi istanza di cambiamento e rinnovamento.

Da un lato c’è la dissoluzione che lascia un vuoto impressionate. Dall’altro c’è la resistenza ad oltranza di una nomenklatura che pretende di perpetuarsi all’infinito senza cedere in alcun modo a una qualsiasi istanza di innovazione. Da un lato, dunque, c’è il caso Fiorito. Che segna in maniera incontrovertibile il fallimento di un gruppo dirigente di centrodestra che ha interpretato la politica come semplice lotta per un potere nel migliore dei casi fine a se stesso e nel peggiore al solo arricchimento personale. Dall’altro c’è la ridicola vicenda di primarie fasulle che vengono indette e celebrate con mille sotterfugi e manovre furbesche solo per consolidare il predominio nel Pd di un gruppo dirigente deciso a rimanere inamovibile fino alla fine dei propri giorni.

In apparenza il fallimento del centrodestra risulta più clamoroso e rovinoso della chiusura a riccio della nomenklatura della sinistra. Se non altro perché da una parte si produce terra bruciata e dall’altra un campo trincerato. Ma nella realtà il risultato è opposto. Perché il vuoto del centrodestra è destinato fatalmente ad essere riempito da nuovi e diversi soggetti politici. Che dovendo operare sulla terra bruciata e liberata dalle vecchie sterpaglie aggrovigliate e spinose possono pià facilmente assumere forme nuove e più adeguate ai tempi. Ma il campo trincerato del vecchio gruppo dirigente della sinistra diventa, come già è successo negli ultimi vent’anni, un ostacolo ancora per lungo tempo insormontabile a qualsiasi tentativo di rinnovamento.

La decisione di Nichii Vendola di partecipare alle primarie del Pd va vista proprio in questa chiave. Cioè non va intesa come un segno di apertura del principale partito della sinistra alla partecipazione alla scelta del candidato alla premiership del paese di forze nuove e diverse. Ma come l’ennesima furbata della nomenklatura rappresentata da Pierluigi Bersani tesa a perpetuare se stessa ponendo ostacoli di ogni genere e natura al “rottamatore” Matteo Renzi.

La candidatura di Vendola, infatti, è perfettamente funzionale alla vittoria di Bersani. Non tanto perché il leader di Sel possa togliere voti al sindaco di Firenze. Ma perché la sua discesa in campo toglie alle primarie il significato di referendum interno su conservazione e rinnovamento che Renzi ha tentato di realizzare impostando la propria campagna sul tema della liquidazione delle vecchie glorie postcomuniste e postdemocristiane. E trasforma la competizione in una corsa fasulla dal finale già scritto, visto che gli iscritti ed i militanti del Pd non dovranno più scegliere tra il vecchio ed il nuovo ma tra il patriottismo di partito impersonificato da Bersani ed il tentativo di occupazione del partito stesso da parte dell’esterno Vendola. 

Ma perché mai quest’ultimo si dovrebbe prestare alla manovra per la blindatura di Bersani e la  sconfitta di Renzi partecipando a primarie che, se si tornasse al sistema proporzionale senza premio  di maggioranza per la coalizione, sarebbero assolutamente inutili e ridicole?

Semplice: perché in questo modo si garantisce uno strapuntino personale nell’eventuale governo a guida Pd della prossima legislatura. Ed il rinnovamento della sinistra? A futura memoria!

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:22