Tre condizioni per Montezemolo

È fin troppo suggestiva l’idea di Luca Cordero di Montezemolo di dare vita ad un movimento che vada oltre la destra e la sinistra della fallimentare Seconda Repubblica e sappia offrire un approdo sicuro ed affidabile agli italiani liberali, democratici e riformisti che rappresentano la maggioranza dell’opinione pubblica del paese. Ma solo almeno tre le condizioni indispensabili che possono trasformare la suggestione in concretezza e rendere realizzabile il progetto del presidente della Ferrari. Tre condizioni che riguardano i tre maggiori partiti presenti al momento sulla scena politica, Pdl, Pd e Udc e che prevedono, di fatto, una loro profonda trasformazione.

Il Pdl può partecipare al rassemblement proposto da Montezemolo e diretto verso una legislatura costituente guidata dal Monti bis solo se rinuncia alle componenti contrarie al governo tecnico ed al suo rinnovo dopo le elezioni della prossima primavera. Non si tratta di un atto indolore. Perché comporta una trasformazione profonda e radicale di un partito che in un colpo solo dovrebbe fare a meno degli ex An decisi a cavalcare la protesta contro l’Europa e contro Monti, cambiare nome e fisionomia (magari assumendo la forma di federazione) e, naturalmente, rinunciare alla candidatura a premier del suo leader carismatico Silvio Berlusconi.

Il Pd, che naturalmente dovrebbe costituire l’alternativa naturale e statalista al progetto liberale montezemoliano, può entrare a far parte del disegno solo se la battaglia delle primarie tra Pierluigi Bersani e Matteo Renzi dovesse sfociare nella sconfitta del sindaco di Firenze e nella decisione dei suoi sostenitori liberali, riformisti e democratici di uscire dal partito per unirsi ai liberali, riformisti e democratici provenienti dalle altre forse politiche.

Terza ed ultima condizione, infine, prevede che l’Udc possa entrare a far parte del progetto solo se il suo leader Pierferdinando Casini accetta di rottamare il proprio partito personale così come dovrebbero essere rottamati Pdl e Pd e rinuncia a presentare candidati talmente datati da risultare impresentabili come Gianfranco Fini.

Si tratta di condizioni possibili? Paradossalmente la meno probabile sembra essere proprio quella che riguarda Casini, l’Udc e la rottamazione di vecchie glorie del trasformismo come Fini. 

Dei tre in campo il partito del leader centrista è il più resistente a qualsiasi vento di trasformazione e di modificazione. La sua ossatura è formata dai vecchi quadri sopravvissuti alla fine della Democrazia Cristiana. Che, dopo essersi dimostrati capaci di navigare indenni dalla Prima alla Seconda Repubblica, non hanno alcuna intenzione di correre il rischio di affogare nei marosi di una Terza in cui rischiano di non avere alcun ruolo. Casini, che viene visto come il padre-padrone dell’Udc, è il realtà il padre-servitore della propria creatura ferma nel passato e per nulla disposta a rinunciare ai posti certi dell’oggi per qualsiasi sogno astratto del futuro.

Più facile, allora, che avvengano le metamorfosi del Pdl e del Pd. Che mai come in questo momento appaiono a rischio di scomposizione, preordinata o occasionale, il primo e di scissione traumatica il secondo.

Certo, sembra una follia immaginare nella prossima legislatura la formazione di una maggioranza disposta a sostenere il Monti bis formata da pezzi del Pdl ispirati ma non guidati da Berlusconi, dai liberal di Matteo Renzi, dai componenti del rassemblement montezemoliano da centro post-democristiano in posizione marginale. Una follia augurarsi che in questo schieramento non figurino i camaleonti di tutte le stagioni disposti ad ogni contorsione pur di conservare la poltrona. Una follia, sicuramente. Ma alle volte solo nella follia si trova un po’ di saggezza e speranza.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:16