Il caso Sallusti e la vicenda dell’Ilva non hanno nulla in comune. Perché riguardano questioni completamente diverse come il giusto equilibrio tra la libertà di stampa ed il diritto individuale al rispetto della propria onorabilità ed il giusto equilibrio tra il diritto alla salute dei cittadini ed il diritto al lavoro dei cittadini stessi.
Questioni diverse, allora, ma, a guardare bene, legate insieme proprio da quella esigenza del giusto equilibrio che dovrebbe essere presente sia nel primo che nel secondo caso e che è invece, agli occhi dell’opinione pubblica, appare pericolosamente assente sia nella vicenda Sallusti che in quella dell’Ilva.
Nessuno dubita sull’esistenza di precise ragioni giuridiche alla base della Cassazione di considerare assolutamente normale che un giudice di primo grado abbia condannato il direttore de Il Giornale ad una ammenda di cinquemila euro e che un giudice di secondo grado abbia trasformato la pena pecuniaria in 14 mesi di reclusione senza condizionale e con l’aggravante di ritenere il giornalista un individuo socialmente pericoloso. E nessuno mette in discussione le ragioni giuridiche che hanno spinto i magistrati di Taranto a respingere ogni proposta di ristrutturazione e di risanamento degli impianti siderurgici ed a decidere una fine della produzione che equivale alla chiusura dello stabilimento siderurgico ed alla messa in mobilità delle decine di migliaia degli attuali occupati.
Ma è difficile, se non impossibile, impedire che agli occhi dell’opinione pubblica le due questioni appaiano segnate non solo dall’assenza di un minimo di giusto equilibrio ma soprattutto da un’imprevedibilità talmente forte da rasentare la schizofrenia.
Il normale e comune cittadino, in sostanza, guarda il caso Sallusti ed il caso Ilva e conclude che se mai dovesse incappare in un qualsiasi accidente di tipo giudiziario potrebbe ritrovarsi indifferentemente in galera o salvato da una misera multa. E se fosse un imprenditore, un commerciante o un qualsiasi libero professionista con la propria attività chiusa o salvata. Il tutto non in base alla dura lex sed lex ma a causa della estrema variabilità della interpretazione della legge stessa da parte di chi la deve amministrare. Insomma, il messaggio che viene ai cittadini dal caso Sallusti come dal caso Ilva è che se finisce nella macina giudiziaria tutto dipende dal caso.
Se si trova un magistrato serio ed equilibrato si può sperare in bene. Ma se si trova un magistrato di altro genere si può finire decisamente male.
La classe politica continua ad ignorare lo stato di inquietudine e di preoccupazione che messaggi del genere producono sull’opinione pubblica del paese. E rinvia di anno in anno ormai da alcuni decenni quella riforma della giustizia che, senza penalizzare nulla e nessuno, dovrebbe puntare a ridare fiducia, stabilità e serenità ai cittadini. Ma se i politici sono sordi ed ottusi spetterebbe ai magistrati prendere atto che ogni messaggio di incertezza sulla giustizia che si diffonde nella società nazionale si trasforma in sfiducia e discredito nei loro confronti. E, paradossalmente, dovrebbero essere proprio loro ad impugnare la bandiera della riforma della giustizia per non continuare a fungere da copertura di una classe politica inetta ed irresponsabile.
Certo, i magistrati possono anche infischiarsene se una norma di ispirazione totalitaria come quella sulla responsabilità oggettiva dei direttori dei giornali rimane in un codice a dimostrazione della arretratezza del paese. Ma debbono sapere che il discredito per la sua applicazione ricade direttamente su chi la applica senza equilibrio. Ed i magistrati possono anche stabilire che il diritto alla salute è sempre e comunque superiore al diritto al lavoro e mandare in disoccupazione migliaia di lavoratori ed in malora buona parte del settore manifatturiero del paese. Ma, visto che governo e Parlamento non si assumono le loro responsabilità riformando le norme autoritarie e fissando il principio che la politica industriale non si decide nelle aule di giustizia ma in quelle della democrazia, si caricano di un peso di responsabilità che rischia di schiacciarli.
Se non vogliono fare la fine della classe politica diventino loro i banditori ed i promotori della riforma della giustizia e del ritorno allo stato di diritto.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:34