La campagna diretta a provocare le dimissioni di Renata Polverini alla Regione Lazio e lo sconquasso del Pdl nazionale alla vigilia della campagna elettorale delle politiche della prossima primavera è promossa e guidata dai media.
I partiti che sono all’opposizione della Polverini e della Giunta di centro destra alla Regione Lazio seguono. Come la sussistenza di Napoleone. Sfruttano l’onda aperta dai giornali e dalle televisioni senza tentare neppure di influire in qualche modo nell’azione di rottura portata avanti dai grandi quotidiani e dalle televisioni pubbliche e private.
Dovrebbe bastare questa ragione a spingere la Polverini a non minacciare di gettare la spugna e rassegnare le dimissioni. Perché non può essere la lettura dei giornali del mattino, neppure se suscita l’impressione di essere sottoposta a una gogna ingiusta ed insopportabile, a indurre chi ricopre un ruolo istituzionale a tradire il mandato ricevuto direttamente dagli elettori. In democrazia i media sono liberi di condurre le proprie campagne come meglio credono. Ma chi è stato investito di responsabilità istituzionali dal libero voto dei cittadini non può e non deve liberarsi di queste responsabilità, sia pure pesanti, sia pure sgradevoli, sia pure dolorose, solo per allentare la morsa mediatica rivolta alla propria persona.
Nessuno ha obbligato Renata Polverini a candidarsi alla guida della Regione Lazio e a chiedere ai cittadini l’investitura a guidare una istituzione così importante e prestigiosa. E ora non può tradire questa investitura solo per liberarsi da una campagna fatta sostanzialmente dell’interesse editoriale a cavalcare la tigre rampante dell’antipolitica. Ma il richiamo alla responsabilità istituzionale non può riguardare solo Renata Polverini. Quest’ultima faccia la propria parte e non ceda alla gogna mediatica. Ma il partito che l’ha designata a svolgere il ruolo che ricopre, cioè il Pdl, faccia la sua assumendosi in pieno le responsabilità politiche che gli competono.Ciò che viene chiesto al Pdl non è solo di fare pulizia al proprio interno eliminando e costringendo ad uscire di scena tutti quei personaggi che hanno offerto ai media affamati di scandali, prima ancora che agli avversari politici, gli argomenti e gli strumenti per le campagne diffamatorie e destabilizzatrici.
Non basta far volare qualche straccio. Anche se di stracci e di straccioni da far volare ce ne sono fin troppi. È necessario ripulire il partito di una nomenklatura che non ha solo la colpa di aver abusato oltre ogni limite dei privilegi della propria casta di miracolati e di privilegiati della politica. Ma che si è resa soprattutto responsabile dell’azione dolosa di aver separato trasformato il partito in un bunker chiuso, blindato, inaccessibile rispetto alla proprio contesto sociale. Il Pdl, non solo quello del Lazio, non è più un soggetto politico di elettori e di eletti. È composto di soli eletti. Anzi, poiché gli eletti sono designati, è composto esclusivamente da quei pochi capi-bastone che cooptano i designati a loro più devoti. Non c’è un nome di quelli comparsi in questi giorni sui giornali ed additati al pubblico ludibrio (magari anche senza ragione alcuna e solo per il gusto della gogna) che non sia riferibile al proprio protettore politico. Non c’è uno solo di questi nomi che possa essere riferito ad un qualche gruppo sociale o ad un qualche interesse, istanza o valore di una qualche area culturale
Il Pdl sconta oggi il suo isolamento dalla società in cui vive. E lo sconta in maniera così pesante e dirompente proprio perché non è nato dalle alchimie di qualche capo-bastone ma dai fermenti reali e potenti di una realtà sociale sagacemente interpretati a suo tempo dal leader Silvio Berlusconi. Chi pensa che basti l’accordo tra i capi-bastone e la Polverini a risolvere il problema, sbaglia. E di grosso. Ci vuole il Cavaliere. Che non deve solo costringere chi di dovere a subordinare i propri interessi personali a quelli degli elettori ma deve scavalcare cortigiani e cialtroni e riattivare il circuito virtuoso tra se stesso ed i cittadini, tra il partito e la società nazionale. Spunta il sole, canta il gallo, o Cavaliere monta a cavallo!
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:13