Il pensiero unico politicista

Analizzando il dibattito politico che si svolge in questa sorta di campagna pre-elettorale sulle varie emittenti televisive, specchio molto reale del pensiero mediatico dominante, non si può fare a meno di rilevare due elementi in perfetta antitesi tra loro: a) la presenza di un sempre più ossessivo delirio politicista, ossia l’idea secondo la quale dalla politica debba necessariamente derivare ogni progresso umano e sociale. La conseguente mancanza di qualunque pur blanda visione liberale nel definire i limiti e le competenze del potere pubblico. Ciò, nella sostanza, contribuisce ulteriormente ad avvalorare la nefasta illusione di una sfera politico-burocratica artefice di qualunque progetto e realizzazione, ed a cui viene demandata la risoluzione di ogni problema.

Ed, tanto per fare un esempio, da questa assurda pretesa illiberale che si fonda buona parte di quella rabbia popolare che sta attualmente trovando nel movimento di Beppe Grillo un interprete credibile. Una rabbia che, in estrema sintesi, parte dalla cocente delusione per una classe dirigente che non avrebbe saputo mantenere la promessa di una società più giusta e più ricca per tutti. E così, schiumando di rabbia nei confronti dei politici, accusati di averli defraudati di qualcosa a cui aveva diritto, la pancia del paese si rivolge ancora una volta alla facile demagogia per raggiungere la realizzazione dei loro obiettivi esistenziali attraverso lo strumento della democrazia elettiva. Da qui deriva anche, soprattutto a sinistra, la continua ricerca di facce nuove e di un partito nuovo, formato da persone oneste e totalmente dedite al bene comune. Tutte utopie e chimere di cui, ahinoi, è lastricata la nostra nazionale via per l’inferno, con lo spettro sempre presente di un catastrofico default che, lasciando sul terreno morti e feriti, farebbe finalmente giustizia di tali utopie e chimere.

D’altro canto, è pur vero che se attraverso i maggiori canali d’informazione viene veicolato esclusivamente il pensiero unico politicista, in base al quale il popolo ha diritto a farsi rappresentare da una classe dirigente che sappia risolvere ogni problema, venendo incontro a qualunque bisogno individuale o collettivo che sia, è ovvio che ciò -sebbene si tratti di una truffa ideologica colossale- ha oramai acquistato per molti individui il valore incontrovertibile di una credenza. Un vero e proprio dogma con cui ci si relaziona nei confronti della politica e degli uomini che la interpretano con un atteggiamento quasi mistico, quasi che questi ultimi, solo per aver ottenuto una qualche investitura democratica, posseggano la pietra filosofale con cui tramutare il piombo in oro. A tutto questo una genuina visione liberale, quasi del tutto assente nel dibattito televisivo, dovrebbe contrapporre la cultura del senso di responsabilità individuale, da cui deriva l’assunto di una società spontanea quale principale artefice della crescita culturale ed economica di qualunque collettività, affidando alla sfera pubblica pochi e circostritti compiti e attribuzioni. Una visione liberale che, a giudicare a dal fermento che essa sta suscitando in rete, si spera che prima o poi venga notata da qualche artefice dei nostri tanti soviet del piccolo schermo, travestiti da talk show politici. Vedremo.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:05