La strage di Bengasi e l'interesse nazionale

Certo che bisogna essere solidali con gli Stati Uniti per il massacro a Bengasi dell’ambasciatore e dei tre funzionati dell’ambasciata Usa! Ma essere solidali non significa essere ciechi. E non vedere né le responsabilità più profonde e reali di quanto avvenuto, né le indicazioni che si debbono trarre da una tragedia del genere. 

Chi non guarda oltre la punta del proprio piede non ha nessuna difficoltà a stabilire che la responsabilità dell’eccidio non ricade solo sugli artefici materiali e sugli estremisti islamici più radicali ma anche su chi ha mancato di rispetto al Corano con il film attribuito ad alcuni egiziani di religione coopta. Ma risolvere la questione della responsabilità in questo modo significa chiudere volontariamente gli occhi, puntare su una risposta semplicistica e fasulla, aggirare il problema e lasciarlo sostanzialmente irrisolto. Purtroppo la vera responsabilità del massacro di Bengasi è tutta americana. Non solo e non tanto, come dicono i nemici di sempre degli Stati Uniti, per le bombe a stelle e strisce con cui gli arei Usa hanno “liberato” la Libia dal tiranno Gheddafi. Ma soprattutto per la politica dissennata scelta dalla amministrazione democratica di Obama e del segretario di stato Hillary Clinton nei confronti del mondo arabo.

Ufficialmente il sostegno alle cosiddette “primavere arabe” è stato dato dagli Usa in nome della libertà e della democrazia contro i regimi autoritari e dittatoriali. In realtà, Obama e la Clinton si sono limitati ad accettare passivamente la strategia disegnata dall’Arabia Saudita e dai ricchi emirati del Golfo tesa a far saltare i regimi laici dei dittatori per sostituirli con repubbliche ispirate ad una interpretazione tradizionalista dell’Islam. Il perché di questa scelta dell’Amministrazione Usa non ha nulla a che fare con la libertà e la democrazia. Obama e la Clinton hanno puntato sui sunniti tradizionalisti di Riad e di Abu Dhabi in nome degli interessi americani sullo sfruttamento del petrolio dell’area. Scelta legittima? Sicuramente. Ma anche una scelta egoistica e miope. Perché, in nome degli interessi americani sul petrolio, Obama e la Clinton si sono tranquillamente infischiati della stabilità dell’intera area, del rischio di estensione del fondamentalismo islamico in tutta la fascia sud del Mediterraneo e del pericoli di contaminazione da parte dell’Europa del virus del radicalismo religioso musulmano.

I morti americani di Bengasi, dunque, ricadono sul governo americano. Che ha sbagliato per leggerezza, incompetenza ed egoismo e ne ha pagato dolorosamente le conseguenze.

Stabilire una responsabilità del genere, però, significa avere ben chiaro che non ci si può limitare ad esprimere solidarietà allo storico alleato ferito. Bisogna andare oltre. E chiarire che nella politica mediterranea ed araba l’interesse perseguito da Obama e dalla Clinton non coincide affatto con l’interesse dell’Europa in generale e del nostro paese in particolare. Anche gli italiani e gli europei hanno necessità di petrolio arabo. Ma Bengasi, Tripoli, Tunisi, Il Cairo e la stessa Damasco distano un tiro di schioppo (o un lancio di missile a medio raggio) dalle nostre coste. E se la sponda meridionale del Mediterraneo si riempie di fondamentalisti islamici che predicano e realizzano la guerra santa contro gli infedeli in nome dell’emirato globale, la faccenda può lasciare indifferenti gli americani ma pone un drammatico problema agli europei ed a noi italiani.

Affrontare questo problema comporta prendere le distanze dall’attuale amministrazione Usa. E sperare che una eventuale amministrazione repubblicana cambi registro nei confronti del mondo arabo e si renda conto che favorire in maniera diretto o indiretta i fondamentalisti in nome del petrolio non è una sciocchezza. È il modo più folle di preparare un disastro mondiale.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:07