Non lasciamo l'Italia agli statalisti

Siamo formalmente entrati in una lunghissima campagna elettorale, dominata da una incertezza forse peggiore di quella che connotava la fine della cosiddetta prima Repubblica. Incertezza soprattutto su chi andrà a governare e con quale sistema elettorale tale scelta verrà realizzata. Per quanto riguarda gli schieramenti e le possibili alleanze, quest’ultime legate anche al post-voto, l’unica cosa certa è che il Pd di Bersani andrà insieme al partito di Nichi Vendola, mentre il resto del quadro politico tradizionale vive una condizione a dir poco magmatica, sotto la spada di Damocle di un voto di protesta il quale, in assenza di una proposta credibile, rischia di far saltare letteralmente il banco. 

Ora, al di là delle formule e delle vecchie e consunte etichette politiche, in realtà il paese avrebbe bisogno di un raggruppamento che portasse avanti una linea tesa ad invertire l’attuale declino, attraverso una ricetta sostanzialmente opposta a quella che la punta avanzata del collettivismo, ossia la sinistra, sembra sostenere con sempre maggior convinzione. In sostanza, mentre il Pd e Sel si sforzano di rincorrere il desiderio di maggior protezione sociale - quindi più Stato, più spesa e più tasse - proveniente dalla relativa base di consenso, occorrerebbe contrapporsi a ciò con una proposta che vada nella direzione opposta, facendo compiere alla mano pubblica quei famosi passi indietro che in tanti hanno vaticinato ma che nessuno è stato finora in grado di ottenere. In altri termini, bisognerebbe mettere in piedi un soggetto politico finalmente in grado di rispondere alla domanda di libertà, in particolar modo economica, che buona parte del paese oramai sente in grave pericolo, schiacciata da un controllo politico-burocratico che attualmente supera ampiamente metà della ricchezza prodotta in un anno. 

Tutto questo con la consapevolezza che una vittoria del fronte progressista aumenterebbe moltissimo il rischio fallimento di un sistema che ancora adesso, nonostante la dura ma necessaria riforma previdenziale realizzata dal governo Monti, si ostina a vivere ben oltre le proprie possibilità.

Tant’è che gli ultimi dati Istat per l’anno in corso, drammaticamente rivisti al ribasso sul piano della crescita e dei consumi, ci dicono che l’unico settore che continua a lievitare sul fronte della spesa è quello pubblico. Ebbene, proprio per evitare che persino sul fronte delle pensioni si torni indietro, così come minacciano di fare molti esponenti del Pd e di Sel, ripetendo l’incauta abolizione prodiana dello scalone che ci costò circa 10 miliardi di euro, appare fondamentale presentare al paese una proposta politica che sappia coniugare il necessario rigore - quest’ultimo espresso sul fronte della spesa e non su quello delle tasse, ovviamente da alleggerire - con il senso di responsabilità individuale ed il conseguente spirito d’iniziativa dei cittadini. Personalmente, come già detto, il colore e l’etichetta giunti a questo punto contano ben poco. L’importante è che, così come avvenne con la famosa discesa in campo che sfasciò letteralmente la gioiosa macchina da guerra di occhettiana memoria, si faccia e si faccia in fretta. L’Italia non può più attendere.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:37