Una campagna elettorale, due follie

Ci sono due singolari follie a caratterizzare la scena politica italiana. La prima è la totale rimozione dal dibattito tra i partiti, i loro leader ed i personaggi alla ricerca di un ruolo all’interno di essi, della crisi economica e finanziaria, della crisi che attanaglia il paese. Si discute accanitamente di legge elettorale, di primarie nel Pd e nel Pdl, di Matteo Renzi che è uno e trino (gira per l’Italia, va in Usa alla Convention di Obama, fa il sindaco a Firenze), di Romano Prodi che riappare e sega le speranze di Pierferdinando Casini di fare il successore di Napolitano in cambio del via libera a Bersani per Palazzo Chigi, dello stesso Bersani che promette posti di governo a tutti i notabili del Pd senza neppure sapere se ad aprile sarà ancora al suo posto, degli insulti di Beppe Grillo che fino a quando organizzava i “vaffa day” contro tutti andava bene, ma che ora che indirizza l’invito al Pd va male e via di seguito.

La follia è non spendere neppure una parola su come uscire dalla crisi. Tranne, ovviamente, parlare astrattamente di rigore e di crescita all’inizio di un autunno che, preceduto dal caso Ilva e dal caso Alcoa, minaccia di diventare il momento della grande mattanza delle piccole e medie imprese industriali e commerciali. E, quindi, un punto di crisi talmente alto e drammatico da rischiare di provocare lo sconquasso definitivo dell’economia nazionale. Dice niente il fatto che ad agosto la cassa integrazione abbia raggiunto il tetto del miliardo di ore? 

Ma la follia che domina la classe politica del paese impone la rimozione dell’argomento. Una follia che sembra aver contagiato lo stesso governo, che essendo composto da tecnici avrebbe dovuto essere immune da questa inquietante malattia. Monti passa da un vertice europeo all’altro senza ricavare un solo risultato tangibile da tanto turismo diplomatico. Ed i suoi ministri perdono tempo in sciocchezze come la tassa sulle bollicine, presentata e cancellata, ed il provvedimento sui videopoker che dovrebbe costringere studenti e malati a fare duecento metri per recarsi nelle sale-gioco e nei bar provvisti di macchinette mangiasoldi. 

La classe dirigente del paese, in sostanza, sembra convinta che la crisi ed i suoi effetti debbano fermarsi in segno di rispetto per la nostra campagna elettorale. 

Che, naturalmente, non deve in alcun modo servire a definire le strategie più efficaci per combattere la crisi stessa, ma solo a selezionare quelli che dovranno entrare nelle stanze del potere senza avere una sola idea di come usarlo per salvare la società nazionale dal tracollo definitivo.

A questa follia, che per la verità non è nuova ma tragicamente ricorrente, se ne aggiunge poi una seconda ancora più grave. E del tutto inedita. Quella che spinge l’intera classe politica a comportarsi come se le elezioni fossero destinate liberare di colpo il paese dai vincoli, dai condizionamenti, dalle obbligazioni che ha accumulato nei confronti dell’Europa. Come se da aprile del prossimo anno in poi non ci fossero più spread e diktat finanziari dei banchieri tedeschi e “compiti a casa” da continuare a svolgere senza mettere minimamente in discussione i maestri e professori in cattedra posti oltralpe.

Se non fosse drammatica questa seconda follia sarebbe addirittura ridicola. Ci si illude che, fatte le elezioni, chiunque vada a Palazzo Chigi sia libero di fare ciò che meglio crede. E non si prende atto che chiunque andrà al governo non solo sarà costretto a rigare dritto obbedendo agli ordini di chi ha avuto in regalo parte della nostra sovranità nazionale ma dovrà intensificare i “compiti” per recuperare il tempo perduto in una campagna elettorale resa inutile e ridicola dalle due follie degli irresponsabili.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:12