Mitt e Clint promettono la libertà

Clint Eastwood, molto meglio che Mitt Romney, ha fatto capire quale sia il vero spirito dei Repubblicani in queste elezioni del 2012. Lo ha spiegato molto chiaramente in una sola frase: «Il Paese appartiene a noi, non ai politici». E, per chi non avesse capito: «I politici sono solo dei nostri impiegati». Come nei suoi film, Clint Eastwood, ha una retorica asciutta, irriverente, a tratti dolente. Non ha recitato una preghierina per benedire il candidato Mitt Romney, a cui ha dato il suo endorsement, ma ha ricordato pacatamente che i politici «… stanno solo andando in giro ad elemosinare voti, come succede ogni quattro anni. È sempre il solito vecchio gioco. Ma penso che sia importante che voi realizziate che siete voi il meglio del mondo. Che voi siate democratici o repubblicani, libertari o qualsiasi altra cosa, voi (americani, ndr) siete il meglio. E non lo dovete dimenticare mai. E quando qualcuno non fa bene il suo lavoro, lo dovete mandar via».

Tutto all’individuo e niente allo Stato, che è solo ed esclusivamente un ente al nostro servizio: è questo il messaggio del libertario (dichiarato) Clint Eastwood. I cui personaggi sono sempre l’incarnazione dell’americano medio, moralmente ineccepibile, coerente, onesto, amante della verità, ma troppo spesso vessato dalla società, dallo Stato e spesso anche dalla Chiesa. Questo messaggio di libertà individuale traspare, in termini molto più retorici, anche nel discorso del candidato presidente Mitt Romney, quando afferma: «Siamo una nazione di immigrati. Siamo i figli e i nipoti di tutti coloro che hanno cercato qui una vita migliore, coloro che si sono svegliati una notte udendo una voce che diceva loro che una vita in America sarebbe stata migliore. Non sono arrivati solo in cerca di ricchezza materiale, ma soprattutto in cerca dei beni che arricchiscono la vita: libertà, libertà di culto, libertà di esprimere il proprio pensiero, libertà di costruirsi la propria vita con le proprie mani. Questa è l’essenza dell’esperienza americana». Per Romney è l’ottimismo sul futuro il principale motore del progresso, come sottolinea nel suo omaggio al defunto Neil Armstrong, il primo uomo sulla Luna: «Sono nato nella metà del secolo scorso Allora essere americano voleva dire dar per scontato che ogni cosa fosse possibile. Quando il presidente Kennedy promise che gli americani sarebbero andati sulla Luna, la domanda non era se vi fossimo riusciti, ma quando. La suola degli scarponi di Neil Armstrong sulla Luna hanno impresso una profonda impronta nelle nostre anime e nella nostra psiche nazionale».

Proprio sull’ottimismo, parte la stoccata, inevitabile, a Barack Obama: «Hope e Change erano due parole che esercitavano un’attrazione irresistibile. Ma questa sera vi chiedo una semplice domanda: se avete provato una grande emozione votando per Obama, la provate ancora oggi dopo quattro anni di presidenza Obama?». Come di consueto, Romney si è presentato al pubblico come un imprenditore, che si è costruito la carriera con le sue mani. Cita le difficoltà che ha incontrato da giovane, quando la Bain Capital (la sua società di investimenti) era ancora piccola e gli investitori la ignoravano. Poi elenca tutti gli esempi di successo di aziende e attività filantropiche nate e cresciute grazie alla sua attività di “squalo” della finanza. «Ecco, è proprio questo che il presidente sembra non voler capire. Fare affari e creare posti di lavoro implica un’assunzione di rischi, la possibilità di fallire, la possibilità di avere successo, ma sempre lottando. Vuol dire essere dei sognatori. E spesso i tuoi affari non vanno esattamente come li avevi immaginato. Steve Jobs era stato licenziato dalla Apple. È tornato e ha cambiato il mondo. È questo il genio del sistema americano di libera impresa: lasciar libera la straordinaria creatività, il talento e la laboriosità degli americani, in un sistema che crea la prosperità del domani, invece che cercare di redistribuire la ricchezza di oggi». E se qualche politico si mette di traverso, ostacolando la libera impresa e la ricerca della felicità degli americani, meglio cacciarlo, come ricorda Clint Eastwood. Ma su questo è avvertito anche lo stesso Mitt Romney. Non solo il presidente uscente Barack Obama. Romney si è dato, a questo punto, un chiaro mandato: liberare gli americani dallo statalismo. Non può più tirarsi indietro.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:31