È stata una reazione esagerata quella di Giorgio Napolitano al «nuovo apice della campagna di insinuazioni e di sospetti» seguita alla prima fase della polemica tra Quirinale e Procura di Palermo? In realtà, anche se qualcuno lo può pensare, è stata una reazione assolutamente naturale. Come altro avrebbe potuto reagire un Presidente della Repubblica con la storia e la cultura politica di Napolitano se non denunciando l’azione delle forze oscure di una qualche reazione in agguato che trama ai suoi danni?
Il problema, però, è che le forze non sono affatto oscure, non c’è alcuna reazione in agguato e non esiste alcuna torbida manovra mossa da ignoti burattinai decisi a ricattare in qualche modo il Capo dello Stato ed a condizionare la vita pubblica del paese.
La verità è che Napolitano ha ceduto alla provocazione. Ed è caduto (e con la sua storia e la sua cultura non poteva forse farne a meno) in una trappola dai contorni e dalle finalità fin troppo chiare.
Per capire quali siano questi contorni e quali queste finalità non bisogna far altro che chiedersi quale sarà il tema dominante della prossima campagna elettorale. Forse il ritorno in pista di Berlusconi? Oppure l’ambizione di Bersani di diventare il primo Presidente del Consiglio post-comunista che entra a Palazzo Chigi dalla porta principale e non da quella laterale? O, addirittura, la speranza di Casini di diventare l’ago della bilancia della politica nazionale alla testa di un centro indistinto che ha il solo compito di spingerlo a diventare Presidente della Repubblica?
Niente affatto. Non c’è bisogno di essere indovini per sapere che nessuno di questi argomenti sarà al centro della prossima campagna elettorale. Il tema dominante sarà lo scontro per la vita e per la morte che si è acceso a sinistra tra i giustizialisti e i post-comunisti. Con i primi che temono di essere normalizzati dai secondi e di fare la fine di Bertinotti. E con i post-comunisti che capiscono che le prossime politiche rappresentano una occasione irripetibile per sbarazzarsi una volta per tutte di quella zavorra giustizialista e fondamentalista che frena in maniera determinante la propria corsa verso la stanza dei bottoni del governo.
Il tema è dominante perché lo scontro non può concludersi con un qualche compromesso. È all’ultimo sangue. I giustizialisti si battono per salvare la pelle. E, se ci dovessero riuscire, per diventare la forza destinata a condizionare pesantemente l’intera sinistra. I post-comunisti si giocano la partita della vita. Bersani e l’attuale gruppo dirigente del Pd sanno bene che se non si sbarazzano del cosiddetto blocco di potere formato da Di Pietro, da Il Fatto e da certi magistrati militanti (blocco a cui si aggiunge naturalmente Grillo), sono destinati ad essere travolti e rottamati in maniera definitiva dai Renzi di turno della giovane generazione del Pd.
Napolitano, dunque, è solo un pretesto, la miccia inconsapevole di un così grande incendio. Una miccia così grande ed autorevole da impedire che l’esplosione possa diventare un fuocherello da smorzare con qualche semplice secchiata di vecchio spirito unitario. Ci si può stupire che un personaggio dell’esperienza del Capo dello Stato possa essere caduto in questa trappolone provocatorio. Ma tant’è. Forse non poteva fare altrimenti, forse c’è caduto consapevolmente per innescare la resa dei conti definitiva dentro la sinistra.
In ogni caso il tema dominante della campagna elettorale sarà questo. E la speranza che i due contendenti si facciano talmente male reciprocamente da creare finalmente le condizioni per fare della Repubblica Italia una autentica democrazia liberale.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:04