Pd, Udc e il boomerang del proporzionale

Il Pd rischia di impiccarsi con le proprie mani. Il ritorno del proporzionale con l’innovazione dello sbarramento del cinque per cento e del premio di maggioranza per il partito più votato rischia di trasformarsi in una vera e propria trappola per il partito di Pierluigi Bersani. Quest’ultimo, insieme all’intero vecchio gruppo dirigente dei sessantenni ed oltre del Pd, hanno fatto i loro calcoli sulla base dei sondaggi del momento che danno il loro partito oltre il 25% e lo candidano ad essere il naturale perno di una alleanza con i centristi casiniani per la prossima legislatura.

Ma Bersani non ha calcolato (o ha calcolato male) gli effetti di quella che dovrebbe essere la nuova legge elettorale. Soprattutto in riferimento alla novità rappresentata dalla rottura a sinistra sul  caso Napolitano tra gli eredi della tradizione Pci-Pds-Pd ed i militanti del mondo giustizialista.

Lo sbarramento del cinque per cento (che al Senato diventa dell’otto), infatti, non produce gli stessi effetti a destra ed a sinistra. Da un lato favorisce l’aggregazione di tutti quei partiti minori che da soli non sarebbero mai in grado di superare la quota minima d’accesso al Parlamento in una lista federale promossa dal partito maggioritario del centro destra, cioè il Pdl. Dall’altro, invece, spinge quelle forze che hanno la possibilità, o credono di avere la capacità di superare, autonomamente lo sbarramento a giocare in proprio, conducendo una campagna elettorale pesantemente concorrenziale nei confronti del partito maggioritario della sinistra. Naturalmente anche il Pd può aggregare qualche forza minore. È il caso dei socialisti di Nencini. Ma non può andare oltre. Perché l’aggregazione dei radicali, avvenuta nel 2008, non è ripetibile per l’opposizione netta dei cattolici alla Bindi. Perché le forze minori della vecchia sinistra antagonista (Rifondazione, Comunisti Italiani, ecc.) si oppongono duramente all’obbiettivo del Pd di allearsi con i centristi neo-democristiani. E perché, soprattutto, l’area giustizialista guidata da Antonio Di Pietro ma anche da De Magistris e forse da Ingroia conta di sfruttare a proprio vantaggio il ritorno al proporzionale scavalcando agevolmente il 5% (magari d’intesa con Grillo) e strappare ampie fette di elettorato al Pd.

Gli effetti del ritorno al proporzionale, allora, cambiano radicalmente lo scenario politico su cui Bersani e Casini avevano già avviato la costruzione di una alleanza di governo sinistra-centro per la prossima legislatura. Perché l’ipotesi di una disgregazione del Pdl su cui il leader dell’Udc aveva puntato per dare vita ad un nuovo centro in grado di dialogare con il Pd si trasforma in una ipotesi opposta. Che prevede l’ingresso in una sorta di listone federale di tutte le forze minoritarie del centrodestra ad esclusione del solo Beppe Pisanu. E perché la pressione sul Pd del “nemico a sinistra” giustizialista rischia di strappare al partito di Bersani una fetta di elettorato capace di ridurre di molto il 25 per cento accreditato al momento, e di fargli perdere la possibilità di usufruire del premio di maggioranza.

Ma se al Pd viene a mancare la prospettiva di guidare il futuro governo, quale può essere la sorte di Casini se non quella di finire come il piffero di montagna? Quello che andò a suonare con il proporzionale e ne uscì abbondantemente suonato?

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:25