L’esistenza di un partito dei giudici è sicuramente una gravissima anomalia italiana. Ma l’anomalia più grande è che questo partito pretenda di determinare la politica nazionale senza partecipare alle elezioni. Almeno quattro decenni di esperienza hanno infatti insegnato ai magistrati del partito dei giudici che è molto meglio decidere le sorti del paese usufruendo dei poteri incontrollati ed incontrollabili assicurati dalla toga, piuttosto che misurarsi in condizioni di assoluta parità con gli altri soggetti presenti sulla scena politica.
Questo indubitabile assioma impone di affrontare il lacerante dibattito in corso dentro la sinistra italiana sul caso Ingroia-Quirinale e su tutte le sue implicazioni e conseguenze in maniera diversa rispetto al passato. Non serve insistere nella predicazione contro l’irrefrenabile tendenza alla esondazione dei magistrati militanti e corporativi. Non ha alcun senso invocare interventi del Csm o provvedimenti ministeriali contro le toghe più riottose e prepotenti. E non ci si deve neppure compiacere nel rilevare che la sinistra post-comunista scopre oggi ciò che i garantisti di cultura liberale e radicale avevano denunciato non solo durante gli anni di Mani pulite ma, addirittura, nel decennio della lotta al terrorismo.
L’approccio più corretto è chiedere che l’anomalia venga eliminata facendo in modo che il partito dei giudici sia costretto una volta per tutte a fare politica con gli avvisi di garanzia, le intercettazioni a strascico, la carcerazione preventiva e la gogna mediatica realizzata dai giornali e dalla televisioni fiancheggiatrici. Come? Sfidando il partito dei giudici a partecipare apertamente, trasparentemente, responsabilmente alla competizione elettorale.
Questa sfida rappresenta l’esatto contrario della scelta fatta dai vari Violante e Scalfari di reagire all’attacco a Giorgio Napolitano lanciato dal cosiddetto “blocco di potere” rappresentato dalla procura di Palermo, il Fatto Quotidiano, Antonio Di Pietro ed i giustizialisti più duri e puri con una campagna di criminalizzazione politica dei “nemici a sinistra”. I post-comunisti si comportano da post-comunisti. Chi ha memoria storica ricorda bene che fino all’assassinio dell’operaio militante del Pci, Guido Rossa, il gruppo dirigente comunista ed i giornali della sinistra italiana negavano la possibilità che le Brigate Rosse facessero parte dell’album di famiglia e parlavano di «sedicenti Br» sicuramente composte da fascisti mascherati e da uomini dei servizi deviati. Dopo l’assassinio di Rossa, il Pci e la macchina culturale ed informativa della sinistra scoprirono l’esistenza del “nemico a sinistra” da contrastare, in nome di uno stato che fino a quel momento il Pci dichiarava di voler abbattere, con tutti i mezzi possibili ed immaginabili giustificati dall’emergenza.
Il caso Napolitano ha prodotto la stessa metamorfosi provocata dal caso Rossa. E non è stato affatto casuale che a lanciare l’offensiva di criminalizzazione politica contro il partito dei giudizi sia stato quel Luciano Violante che costruì e guidò a suo tempo il partito dei giudici di allora contro le Br, la mafia e tutti i nemici politici della sinistra degli ultimi trent’anni. Ma la coazione a ripetere secondo un riflesso pavloviano di stalinista memoria non può essere accettata. E non perché i magistrati militanti e corporativi non abbiano bisogno di essere rimessi in riga. Ma perché l’esperienza ha insegnato che questi metodi da vecchio Pci producono effetti devastanti sul sistema democratico. A partire da quell’anomalia del partito dei giudici che dopo le difese e gli incensamenti del passato oggi si vuole massacrare e distruggere. In una democrazia liberale non si deve massacrare e distruggere nessuno, neppure il peggior nemico. Perché la democrazia perde la qualifica liberale e diventa autoritaria. Per salvare la democrazia e correggere l’anomalia, quindi, non c’è altra strada che sfidare i vari Ingroia a partecipare in prima persona alle elezioni. Senza i poteri incontrollabili della toga ma solo con la forza delle idee e con l’umiltà di andare in giro per l’Italia a ripetere: «Vota Antonio, vota Antonio!».
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:13