Riccardi, la Cosa Bianca e i liberali

Ci sono due aspetti della costruzione in atto della cosiddetta “cosa bianca” che meritano di essere sottolineati. Il primo riguarda i ministri del governo tecnico di Mario Monti che promuovono il progetto. Nessuno può contestare ai vari Riccardi, Passera o chiunque sia il diritto di lavorare ad un progetto politico destinato ad aggregare un centro cattolico che riprenda, come ha detto il segretario della Cisl Raffaele Bonanni, il percorso interrotto della Dc. Ma appare fin troppo evidente che questo progetto non può essere realizzato approfittando della visibilità e dei vantaggi assicurati dalla presenza dei loro promotori nel governo in carica.

Ovviamente non esiste alcuna norma che impedisca al ministro Andrea Riccardi (si parla di lui perché è il più dichiaratamente esposto sul fronte della costruzione della “cosa bianca”) di lavorare alla ricostruzione della vecchia Dc insieme ai sindacalisti della vecchia scuola scudocrociata ed al leader del terzo partito della attuale maggioranza, cioè a Pierferdinando Casini. Esiste, però, una questione politica che non può essere ignorata. Se a settembre si apre una campagna elettorale in cui alla conflittualità fisiologica tra partiti alternativi come Pdl e Pd si aggiunge il lavoro ufficiale e sottobanco di una parte del governo in favore di un terzo soggetto politico destinato ad erodere i consensi elettorali dei primi due, il clima politico diventa incandescente. E la sorte del governo diventa decisamente precaria. Perché mai il Pdl ed il Pd dovrebbero continuare a sostenere un esecutivo che in teoria dovrebbe essere al di sopra delle parti ed in cui una parte ben definita lavora per un terzo incomodo con la pretesa di diventare il futuro baricentro politico del paese? Per la sopravvivenza del governo, dunque, è bene che Riccardi ed i ministri partecipanti alla “cosa bianca” si dimettano dai loro incarichi ministeriali.

Avranno più libertà nel portare avanti il loro progetto. E, soprattutto, non creeranno problemi a Mario Monti, al presidente della Repubblica ed allo stesso paese. Sarebbe un dramma, infatti, se per colpa dei neo-democristiani, il governo tecnico dovesse saltare per aria e Monti fosse costretto a guidare un altro governo tecnico privo di tecnici troppo politicizzati fino alla scadenza naturale della legislatura. Il secondo aspetto posto dalla costruzione della “cosa bianca” riguarda poi il ruolo che questa nuova aggregazione vorrebbe avere negli equilibri politici della prossima legislatura e le conseguenze che potrebbero scaturire dalla conquista dei neo-democristiani di Riccardi, Bonanni e Casini di una posizione primaria all’interno della futura “grande coalizione”.L’obbiettivo dell’operazione, dunque, sarebbe quello di ridare ai cattolici la centralità nella vita politica italiana. Per riprendere, come ha detto Bonanni, il cammino interrotto fatto di concertazione e (va aggiunto) di statalismo assistenzialista in un sistema sbrindellato di autonomie locali clientelari e dissipatrici. 

Ma se i cattolici non liberali puntano a riaggregarsi per tornare a guidare il paese secondo gli schemi antichi che responsabili della crisi attuale, perché mai i liberali di destra, di sinistra e quelli che, come dice Pascal Salin, “sono altrove” non dovrebbero fare altrettanto per costruire un polo capace di bilanciare nella futura “grande coalizione” il peso dei neo-democristiani? Nessuno propone l’impossibile formazione di un nuovo partito formato dai liberali del Pd, del Pdl e delle nuove e vecchie associazioni antistataliste. Bisogna essere realisti. E, quindi, prevedere che ognuno rimanga dove si trova, senza smanie secessioniste di sorta. Ma, se si vuole evitare che il paese muoia democristiano senza frenare in qualche modo questa deriva, sarebbe bene che i liberali  di ogni colore e collocazione concordassero fin da ora le cinque riforme d’ispirazione liberale da realizzare nella prossima legislatura qualunque sia il quadro politico espresso dalla verifica elettorale. Si tratta, in pratica, di opporre al polo cattolico un’area liberale culturale impegnata non a trasformarsi in partito ma a realizzare le riforme indispensabili per il paese. Cioè la riforma istituzionale, quella fiscale, quella del lavoro, quella delle autonomie e quella della giustizia.

Impossibile? Niente affatto. Comunque vale la pena di provarci. Perché Riccardi, Bonanni e Casini si e Martino, Nicola Rossi e Morando no?

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:11