I 40mila del Fatto e le colpe della sinistra

I quarantamila che hanno sottoscritto l’appello de Il Fatto a sostegno dei magistrati di Palermo che indagano sulla “presunta” trattativa tra stato e mafia rappresentano una cifra sicuramente consistente. Che, tra l’altro, conferma l’ampiezza del bacino di lettori su cui può contare il giornale di Antonio Padellaro e Marco Travaglio e premia la linea editoriale di sfida giustizialista agli altri giornali di sinistra (in particolare La Repubblica ma anche L’Unità) portata avanti con determinazione dalla direzione del quotidiano.

Ma quei quarantamila non sono solo una dimostrazione eloquente della tenuta del mercato editoriale di riferimento de Il Fatto. Sono, anche e soprattutto, l’espressione di indicazioni politiche precise. La principale è che chi pensa di poter cancellare dal prossimo Parlamento con una legge elettorale apposita le componenti politiche d’ispirazione giustizialista, sbaglia clamorosamente e s’illude pericolosamente. Esiste un blocco giustizialista nel nostro paese, coccolato e cresciuto grazie all’apporto della sinistra tradizionale (Padellaro e Travaglio hanno fatto le prove del Il Fatto a L’Unità, organo del Pds-Pd diretto da Furio Colombo), che è formato da media agguerriti, da intellettuali e giornalisti super-affermati (Santoro, Saviano), da settori sempre più ampi della magistratura, dal nucleo dipietrista dell’Italia dei Valori, da un pugno di finiani manettari in cerca di collocazione e che può contare su una fascia di veri e propri militanti (i quarantamila in questione) e su un’area più ampia di potenziali consensi elettorali.

La sinistra tradizionale si è comportata da apprendista stregone per oltre trent’anni con questa minoranza usata come lancia di punta contro i propri nemici. Ed ora che non riesce più a tenerla sotto controllo e che è diventata il “nemico a sinistra” da eliminare ad ogni costo secondo la lezione mai dimenticata della Terza Internazionale, pensa di eliminarla dalla scena pubblica con lo sbarramento del cinque per cento nella nuova legge elettorale ed usando qualche “quinta colonna” inserita dentro l’Italia dei Valori.

L’illusione è pericolosa non solo perché i numeri indicano che questo blocco giustizialista può superare lo sbarramento. Ma soprattutto perché, se anche i suoi rappresentanti non riuscissero ad entrare in Parlamento, potrebbero tranquillamente portare avanti i loro disegni e le loro strategie politiche senza alcun problema.

L’area giustizialista, in sostanza, non è la vecchia Rifondazione Comunista di Fausto Bertinotti. Perché un Di Pietro estromesso dal Parlamento può fare ugualmente il capo-popolo. Padellaro, Travaglio, Santoro e Saviano non hanno alcun bisogno di sedere a Montecitorio o a Palazzo Madama per dare fuoco alle loro polveri. A differenza degli ultra-comunisti del passato, infatti, i giustizialisti giocano la loro partita nel tessuto societario del paese. Sempre e comunque di concerto, di sponda o di riflesso delle iniziative di quella parte della magistratura (il caso Ingroia insegna) che non processa la politica per punirla di qualche nefandezza, vera o presunta che sia, ma solo ed esclusivamente per sottometterla.   

Non sarà una legge elettorale adattata alle proprie esigenze politiciste a sciogliere un blocco giustizialista che è la vera opposizione antisistema esistente nel paese. L’unica soluzione, come forse incomincia a capire Giorgio Napolitano, è una riforma della giustizia che riporti l’equilibrio nella tripartizione dei poteri nello stato di diritto. Quella riforma che la sinistra non ha mai avuto il coraggio di fare.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:28