La tentazione della popolarità

L’intervista della discordia del premier Monti, rilasciata a Der Spiegel, esprime a mio avviso la sua crescente frustrazione politica. Essa segnala una evidente incapacità di riuscire a dare una risposta di governo credibile ai mercati finanziari, soprattutto a pochi mesi da una scadenza elettorale che si preannuncia avvolta nella nebbia più fosca. Ed è oramai chiaro che il miracolo promesso dal bocconiano all’indomani del suo elaborato insediamento nella stanza dei bottoni non potrà più verificarsi, lasciando il suo mancato artefice in una scomoda posizione interlocutoria. In sostanza, osservando la condizione generale del Paese, la quale non potrà certo migliorare in maniera significatica da qui alla primavera prossima, Mario Monti non avrà  certamente l’oppurtunità di spendersi al prossimo giro, quali che siano le sue ambizioni, il titolo di salvatore della patria.

Con uno spread sempre pericolosamente prossimo ai 500 punti, una spesa pubblica ed una relativa pressione fiscale da record mondiale e, in particolare, una fase di piena recessione in atto c’è poco da scherzare con le presunte santificazioni politiche. E’ oramai diffusa in ogni ambiente l’idea che  siamo ben lungi dall’aver superato le nostre enormi difficoltà strutturali e, pertanto, sembra dominare nel paese una forma di scetticismo, se non  di vero e proprio pessimismo, il quale non può essere esorcizzato con qualche bel discorsetto di natura accademica. E nemmeno serve prendersela con gli investitori internazionali, ritenuti incapaci di capire le cose realizzate dall’esecutivo dei tecnici -così come ha ribadito, facendo in questo eco al premier, il sottosegretario Catricalà - e, soprattutto, con una Germania  “rea” di non voler far pagare ai suoi contribuenti il conto delle nostre spese pazze, così come ha correttamente rilevato Paolo Mieli nel corso di un recente dibattito televisivo. Da questo punto di vista non possiamo esportare all’estero tutta una serie di problematiche strutturali che sono state create da decenni di politiche stataliste e assistenziali e che, dobbiamo ribadire ancora una volta, la cura da cavallo di nuove tasse e ulteriori regolamentazioni burocratiche adottate dai tecnici al potere non hanno minimamente intaccato. 

Con l’unica eccezione di una riforma previdenziale che, ahinoi, al momento rappresenta l’unica provvedimento serio nel campo della riduzione della spesa pubblica, seppur a regime. Ma per il resto, il fritto misto di misure adottate in questi ultimi mesi, espressione evidente di un continuo ed estenuante compromesso con i partiti della strana maggioranza che sostiene il governo, non ha sicuramente gettato le basi per, quanto meno, alleggerire il nostro traballante sistema economico. Ed il fatto che pure Monti, seguendo in questo la nefasta tradizione delle precedenti amministrazioni di qualunque colore, abbia spalmato nel tempo molti provvedimenti concernenti la cosiddetta spending review, posticipando gran parte dei tagli alla prossima legislatura, segnala l’intenzione di continuare a dare un colpo al cerchio ed uno alla botte, con il malcelato scopo di guardare più al tasso di popolarità che non a quello dei nostri proibitivi interessi da pagare. Un risultato ben misero rispetto a ciò che il celebrato  accademico sembrava voler realizzare.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:31