Se la sorte di Casini è finire come Follini

Marco Follini ha cercato di riconsolare Pierferdinando Casini ricordando al leader dell’Udc di aver subito le stesse critiche di stampo maccartista da parte della destra al tempo in cui ruppe l’alleanza con Silvio Berlusconi e passò dall’altra parte della barricata. Ma questa manifestazione di solidarietà da parte dell’antico sodale del movimento giovanile democristiano e della comune militanza nelle formazioni politiche del centro post-scudocrociato alleato fino al 2006 con il partito berlusconiano, non deve aver riconsolato eccessivamente il “caro amico Pier”. E non perché il maccartismo evocato da Follini c’entri come i cavoli a merenda in una vicenda in cui i critici contestano a Casini non il proposito di passare al nemico post-comunista, e neppure l’intento di ricostruire con quarant’anni di ritardo il vecchio compromesso storico di Moro e di Berlinguer, ma solo l’idea di vendersi a Bersani in cambio della promessa del Quirinale. Ma soprattutto perché l’esempio offerto dalla conversione al Pd di Follini costituisce un pessimo viatico per il percorso che il leader dell’Udc intende fare per contribuire a creare una maggioranza di centrosinistra dopo le elezioni che, oltre a spedire Bersani a Palazzo Chigi, lo porti spedito sul più alto Colle della Presidenza della Repubblica.

Fino a quando è stato nell’alleanza di centrodestra, infatti, Marco Follini, ha avuto un ruolo politico di grande rilevanza. È stato vicepresidente del Consiglio e fattore frenante di tutte le riforme d’ispirazione liberale che il Cavaliere avrebbe voluto realizzare dal 2001 al 2006. Uscito dal centrodestra ed entrato a far parte del Partito Democratico, invece, il povero Follini è scomparso. E non perché i suoi vecchi amici lo avevano subissato di insulti maccartisti per la folgorazione sulla via post-comunista. Ma perché i nuovi compagni di strada lo hanno prima fagocitato e poi marginalizzato e totalmente azzerato. Non per perfidia e cattiveria. Ma perché il passaggio di campo gli aveva tolto qualsiasi ruolo politico in un Partito Democratico dove l’unica sorte concessa ai cattolici è quella di imitare il partito dei contadini nella Polonia comunista. Cioè di interpretare il compito di semplice foglia di fico e di contare meno del nulla assoluto.

La prospettiva di fare la fine di Follini, dunque, dovrebbe spingere Casini a compiere ogni genere di scongiuro. E riflettere attentamente sulla circostanza che ogni qual volta i cattolici si sono alleati con i comunisti senza lo scudo della conventio ad excludendum assicurata da Yalta e dalla guerra fredda, l’intesa si è sempre risolta in una sorta di “patto leonino” a tutto vantaggio degli eredi di Togliatti ed a scapito degli eredi di De Gasperi.

Casini non può aver dimenticato l’esperienza del compromesso storico vissuta da giovanissimo democristiano. E se proprio conta di fare una alleanza con Bersani che scimmiotti quella antica formula politica deve necessariamente incamminarsi lungo la strada opposta a quella percorsa a suo tempo dal buon Zaccagnini, divenuto succube ostaggio del Pci durante il caso Moro. E deve evitare come la peste di seguire l’esempio di tutti gli altri ex Dc, da Rosy Bindi allo stesso Follini, che come l’intendenza di Napoleone hanno il solo compito di seguire passivamente la truppa in marcia dei post-comunisti.

Ma il leader dell’Udc è in grado di stringere una qualsiasi alleanza con il rinato Pci di Bersani senza perdere autonomia, indipendenza, ruolo ed elettori? Dovrebbe essere un De Gasperi ed avere alle spalle gli americani. Purtroppo per lui, però, non è De Gasperi e non ha gli americani. Solo Caltagirone!

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:04