La vicenda della legge elettorale dimostra che non è questa la stagione in cui poter realizzare riforme serie, capaci di incidere profondamente sulle grandi questioni irrisolte che gravano sul paese. Anche chi si era illuso che l’emergenza imposta da una gravissima crisi economica internazionale potesse spingere le forze politiche a realizzare le intese necessarie per il grande cambiamento del paese, deve suo malgrado prendere atto che il governo tecnico di Mario Monti nato per questa esigenza non ha raggiunto il suo obbiettivo e che l’illusione è svanita. Non c’è emergenza che tenga nell’imminenza di elezioni politiche generali. L’interesse particolare dei partiti prevale sempre e comunque su quello generale dei cittadini. E scandalizzarsi per quello che sembra essere l’ennesimo comportamento non virtuoso e scorretto delle forze politiche tradizionali appare del tutto inutile.
Bisogna prendere atto della realtà e regolarsi di conseguenza mettendo in conto, sulla base di quanto è avvenuto sulle riforme abortite di Monti (riforma del lavoro) o su quelle mancate (riforma fiscale e riforma istituzionale), che l’unica stagione in cui provvedimenti incisivi possono essere concordati e realizzati segue e non precede una elezione politica. Questo significa che prima si va a votare, prima si realizzano le riforme? Niente affatto. Le preoccupazioni del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, sull’eventualità di elezioni anticipate sono assolutamente sacrosante. Fornire l’ennesima rappresentazione agli occhi del mondo della ingovernabilità dell’Italia sarebbe da irresponsabili. Le elezioni vanno tenute alla scadenza naturale con qualunque legge abborracciata possa venire fuori dalle discussioni in corso. Monti deve continuare a dimostrare che l’Italia non è ingovernata ed ingovernabile. E le riforme vanno rinviate alla fase di avvio della prossima legislatura.
Già, ma quali riforme? E promosse da chi? Il pericolo che grava sul paese è che dopo il voto la frammentazione sia uguale a quella di oggi e che la confusione delle idee, dei programmi, delle ambizioni sia addirittura maggiore di quanto sia in questo momento di tensione pre-elettorale. Di qui la necessità di incominciare a riflettere su questo pericolo. Per non arrivare del tutto impreparati ad un appuntamento dal cui esito può dipendere la sopravvivenza stessa del nostro paese. Non si tratta di preparare oggi la “grande coalizione” a guida sempre tecnica e politica che sia. O ipotizzare percorsi astrusi destinati a sfociare in inciuci o papocchi trasversali privi di senso. Si tratta, al contrario, di stabilire oggi per domani che l’Italia ha bisogno comunque di un programma di poche ed indispensabili riforme di ispirazione liberale (del fisco, del lavoro, delle istituzioni, della giustizia, delle autonomie).
E di assumere l’impegno di promuoverle qualunque sia l’esito delle elezioni e da qualsiasi parte i promotori abbiano combattuto la loro battaglia elettorale. L’appello, dunque, è ai liberali del centro destra e del centro sinistra. E non è un appello alla confusione, al trasversalismo, al pasticcio consociativo o, peggio, al tradimento delle rispettive posizioni politiche. Ognuno rimanga nello schieramento di appartenenza. Ma chi avverte la responsabilità di contribuire alla soluzione della crisi del paese s’impegni da subito a battersi dopo le elezioni , sempre all’interno delle rispettive forze politiche, per la realizzazione delle riforme indispensabili. Esiste un precedente storico per una operazione del genere. Che non comporta commistioni ma solo assunzione di responsabilità. La realizzò Camillo Cavour attraverso quel “connubio” di liberali di destra e di sinistra che contribuì in maniera determinante al Risorgimento del paese. Un risorgimento che oggi appare indispensabile tanto come allora.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:20