La vittoria del Pd spaventa la Borsa

A prescindere dalla boccata d’ossigeno prodotta dall’impegno preso dal governatore della Bce Draghi di sostenere in ogni modo l’euro, le prospettive italiane sono troppo incerte per rassicurare nel medio e lungo periodo gli investitori di ogni latitudine. Prospettive incerte soprattutto sul piano politico, le quali inevitabilmente rendono assolutamente oscure quelle fondamentali dell’economia. Ed il motivo è molto semplice: le previsioni elettorali più ragionevoli danno vincente la coalizione di sinistra. Ebbene l’eventualità che Bersani e Vendola possano raggiungere la stanza dei bottoni, con o senza il prezzemolo di governo Casini, terrorizza letteralmente i mercati finanziari, consigliando di tenersi alla larga da un paese incurabilmente affetto dalla demagogia collettivistica. In sostanza, chi volesse investire i propri quattrini nel nostro debito pubblico, sarebbe sconsigliato a farlo dall’incombente minaccia politica di una sinistra statalista la quale, al di là dell’ostentato buon senso del segretario del Pd, appare completamente incapace a portare avanti quelle necessarie riforme strutturali di cui ha un urgente bisogno il nostro sistema.

Riforme strutturali che pongano al centro l’esigenza primaria di ridurre il perimetro pubblico e la relativa spesa, la quale ha raggiunto un livello da paese del socialismo reale. Tuttavia, nonostante sia oramai evidente a tutti che non si esce dalla crisi del debito se non in virtù di un forte allentamento della pressione fiscale - che per l’appunto solo attraverso un drastico taglio dello stato si può realizzare - la base di consenso dei partiti che sono favoriti nelle prossime elezioni parlamentari si aspetta dai suoi rappresentanti una linea diametralmente opposta. In maggioranza, i sostenitori del fronte progressista sono indotti a credere che i loro paladini politici tireranno l’Italia fuori dai guai con tutta una serie di fallimentari ricette keynesiani, con al centro più spesa pubblica ed una rinnovata lotta all’evasione fiscale. L’idea che si debba lasciare maggiore iniziativa e risorse alle capacità della cosiddetta società spontanea non passa proprio per la testa di chi da decenni viene indottrinato a pane e collettivismo. Ed è ovvio che, una volta raggiunto il ponte di comando, il buon Bersani non avrebbe mai la forza di mettersi a fare il liberale. Sfidando così l’opposizione interna al suo partito. E quella ancor più virulenta dei suoi alleati di estrazione marxista. Da qui, per tornare a bomba, si sviluppa una inquietante incertezza sui mercati finanziari, fondata essenzialmente sulla prospettiva di un ricambio politico totalmente incapace ad affrontare la grave emergenza in atto.

Il tutto, occorre dirlo con franchezza, aggravato dalla mancanza di una alternativa moderata e liberale credibile. Che sia in grado proprio di offrire le necessarie garanzie sul piano delle riforme, istituzionali e non. Alternativa che, a mio parere, dovrebbe uscire dalle logiche che ancora ruotano intorno al berlusconismo. E dovrebbe guardare oltre con un atteggiamento di costruttiva inclusione. L’importante è presentarsi ad un elettorato scoraggiato da troppi delusioni con uno schieramento di persone affidabili e con le idee chiare sul da farsi. Il resto sono solo inutili schermaglie che possono portarci solo al disastro.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:36