L'ombra del Cav su Bersani e Casini

Turba i sonni dei due Pierini (Pier Ferdinando Casini e Pierluigi Bersani) il timore che Silvio Berlusconi possa approfittare dei mesi che mancano alla scadenza naturale della legislatura per rimettersi in pista d’accordo con la Lega di Roberto Maroni e giocarsi fino in fondo la partita del 2013. Casini e Bersani hanno troppa esperienza per non sapere che il Cavaliere da il meglio di se nelle campagne elettorali ed è abituato a ritornare politicamente in vista dopo che tutti lo avevano dato per morto. E sanno anche che i conti non sono poi così favorevoli come tanti sondaggi vorrebbero dimostrare ad ogni costo. Perché il Pd, quotato al 25-26 per cento grazie alla rigida militanza dei propri sostenitori, non alcuna possibilità di crescere pescando in un’area dell’astensione e dell’incertezza formata per la stragrande maggioranza dai vecchi elettori del centro destra. E perché l’Udc, che del Pd dovrebbe essere l’alleato principale per il governo della prossima legislatura, è fermo ad un 6-7 per cento.

E potrebbe sperare di superare la soglia delle due cifre solo compiendo una operazione di allargamento ai cattolici di Todi, al ministro Passera, ad Emma Marcegaglia ed ai montezemoliani privi di Montezemolo che non solo è ancora tutta da costruire ma che nasconde il gravissimo pericolo di snaturare il nocciolo duro del partito e trasformarsi in una rovina piuttosto che in un successo. Nella migliore delle ipotesi, dunque, l’asse Pd e Udc (sempre che Casini riesca a far convivere i suoi post-democristiani con qualche cattolico inquieto e pezzi sparsi della vecchia Confindustria), sulla carta può superare a malapena il 35 per cento. Ma solo sulla carta. Perché nella realtà Pd e Udc non possono presentarsi come coalizione alle prossime elezioni ma hanno l’assoluta necessità di marciare separati nella speranza (e solo nella speranza) di colpire uniti e formare il governo dopo la verifica elettorale. Una eventuale coalizione, infatti, non sommerebbe i rispettivi voti ma danneggerebbe entrambi. Un po’ come è successo al Terzo Polo, scomparso dopo aver registrato che Fini e Rutelli non portavano ma levavano voti ad un Casini che inizialmente si era illuso di aver vinto un terno al lotto con gli scissionisti del Pdl e del Pd.

Le preoccupazioni dei due Pierini, quindi, sono fondate. Berlusconi, alleato con Maroni, parte con almeno dieci punti di svantaggio. Ma come avvenne nel 2006 può sperare di recuperare e colmare il divario. E lo può fare non solo perché l’area dell’astensione è formata in gran parte dai suoi vecchi elettori che non sono passati comunque a sinistra e difficilmente potrebbero essere attratti da un Casini contornato di mezze figure tecniche e confindustriali. Ma soprattutto perché l’incalzare della crisi dimostra che a scatenare lo spread non erano i peccati comportamentali del Cavaliere ma la speculazione internazionale e le sbagliate pretese egemoniche dell’asse franco-tedesco. E perché più i sacrifici per gli italiani aumentano, più il prossimo voto diventa l’occasione offerta ai cittadini (e non ai “poteri forti” ed ai loro media) di lanciare un sasso contro tutti quelli che invece di contrastare la speculazione e le pretese egemoniche straniere le hanno cavalcate per il loro interesse di parte. In questa luce va vista la polemica di questi giorni sulla riforma della legge elettorale. Le pressioni di Bersani e Casini per trovare un accordo subito nascondono la volontà di andare al voto a novembre togliendo la Cavaliere il tempo di preparare la sua “reconquista” dei suoi elettori delusi. Le resistenze e gli ostacoli di Berlusconi esprimono un interesse esattamente opposto a quello dei leader di Pd e Udc. E l’interesse del paese? Coincide con quello di chi ha fretta o quello di chi frena?

La risposta è che l’interesse del paese non riguarda i tempi del voto, che possono essere brevi o più lunghi ma non cambiano nulla. Riguarda ciò che avverrà dopo il voto. Non in termini di alleanze ma in termini di programmi. Perché è fin troppo evidente che nessuno avrà la forza di vincere o stravincere. Il “connubio”, per dirla alla Cavour, diventerà una scelta obbligata. E sapere fin da ora come in concreto le forze responsabili vorrebbero far uscire il paese dalla crisi sarebbe piàù importante di ogni interesse di parte.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:07