La resistenza unica alternativa

C’è un solo modo di resistere alla macchina del fango che da mesi è in azione per costringere il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni a rassegnare le dimissioni con un anno d’anticipo. E’ quello che consiste nel fare il pieno del fango che viene prodotto a pieno regime dal circo mediatico-giudiziario deciso a provocare la cacciata per e con ignominia di Formigoni e di non dimettersi neppure se la pressione si trasforma in tortura. Si tratta, in sostanza, di resistere ad oltranza. In nome di quella presunzione d’innocenza di cui i giustizialisti a senso unico tendono a dimenticare l’esistenza ma che, a dispetto dei fautori delle esecuzioni sommarie a mezzo stampa, continua ad essere inserito nella Costituzione.

Certo, ci vuole fegato nel sopportare per mesi il meccanismo di gogna mediatica che punta alla distruzione psicologica dell’individuo nell’obbiettivo di conseguire il risultato politico voluto. Ma non esiste alternativa alla resistenza ad oltranza. O si esce dal bunker della rivendicazione della presunzione d’innocenza con le mani alzate al primo schizzo di fango di provenienza giudiziaria e di strumentalizzazione giornalistica. Oppure ci si rinserra nel bunker e si spera di avere la forza di resistere un minuto in più della durata dell’assedio. Intendiamoci, il suggerimento dato a Formigoni vale anche per Errani, Vendola, Lombardo. Cioè per tutti quegli altri presidenti di regione che si trovano inquisiti per reati che avrebbero commesso nell’esercizio delle loro funzioni. Ma a nessuno sfugge, neppure ai giustizialisti più forsennati ed ottusi, che nella logica del circo mediatico-giudiziario le resistenze non sono affatto uguali.

Quelle degli amministratori di sinistra sono sempre più legittime, giustificate, necessarie ed ancorate alle garanzie individuali riconosciute dalla carta costituzionale di quelle degli amministratori del centro destra a cui tocca in sorte di avere sempre e comunque ragioni e garanzie più deboli, flebili, insostenibili ed inaccettabili. Il caso Penati, tanto per citare l’ultimo esempio della lunga serie e non rifarsi alla solita storia del “non poteva non sapere” che non valeva e non vale per i leader del Pci-Pds-Ds e valeva e vale sempre e comunque per i leader delle altre formazioni politiche. Per resistere, quindi, agli esponenti del centro destra ci vuole molto più coraggio di quanto serva a quelli del fronte opposto. Ma è proprio la consapevolezza del doppiopesismo che deve dare forza ad una resistenza che non ha alternative di sorta. Perché, sempre che il malcapitato non mangi la foglia prima dell’avvio della macchina del fango e non fugga in posti inaccessibili ormai inesistenti, la battaglia è per la vita e per la morte. L’esperienza insegna che per il politico di spicco dello schieramento “sbagliato” il duello con gli accusatori non si può mai concludere con un nulla di fatto o con una semplice ferita ma prevede che la conclusione sia sempre e comunque la morte politica e morale (se poi c’è anche quella fisica per i giustizialisti è anche meglio).

Resistere, allora, diventa una sorta di strada obbligata. Per tentare di salvare la propria libertà, la propria dignità, la propria vita. Formigoni, allora, resti al proprio posto fino al termine del proprio mandato. Pretenda di difendersi nel processo sopportando il calvario preventivo delle indagini che la stampa di parte cerca di trasformare in condanna anticipata. E non compia l’errore di presentarsi in giudizio da semplice cittadino e non da presidente della regione. Visto che lo massacrano lo stesso anche in caso di diserzione e fuga, tanto vale restare in trincea e sperare, dopo anni ed anni di martirio, di trovare il famoso giudice a Berlino.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:18