Lo spirito del '94 e i bisogni del 2013

Non basta che Silvio Berlusconi decida di riscendere in campo. Non basta che riesumi il nome di Forza Italia per il suo partito. E non basta neppure che recuperi in tutta fretta le idee ed il programma economico liberale di Antonio Martino dopo la lunga infatuazione per il dirigista e statalista Giulio Tremonti. Per ridare slancio, vigore e credibilità al ritorno al passato del Cavaliere è necessario che il recupero della passione originaria per la rivoluzione liberale venga proiettato verso il futuro. 

Serve, in sostanza, che la nuova Forza Italia non più madre ma figlia del Pdl non si limiti a riproporre un progetto di società ispirato al modello liberale ma dimostri di saper affrontare   anche l’altra emergenza (oltre quella dello smantellamento dello stato burocratico-assistenziale) della totale ristrutturazione dell’ossatura istituzionale della società italiana. Cavalcare il presidenzialismo, sia nella versione piena del modello americano che in quella dimezzata del modello francese, va bene. Ma non basta. 

La crisi in cui versano la Repubblica Italiana non si cura solo con l’elezione diretta del Capo dello Stato. A questa misura indispensabile per assicurare un esecutivo funzionante e stabile si deve necessariamente accompagnare una riforma istituzionale radicale che sappia affrontare e risolvere una delle cause principali della crescita incontrollata del debito pubblico, degli sprechi e delle dissipazioni che sono alla base della crisi in cui versa il paese. 

Il numero due di Confindustria, Ivan Lo Bello, ha denunciato in una intervista il rischio di fallimento che grava sulla Sicilia. Ed ha chiesto al presidente del Consiglio, Mario Monti di intervenire mettendo mano ai conti della Regione ed affrontando il tema del superamento della sua storica autonomia. 

Lo Bello ha ragione. Ma Monti può limitarsi a rivedere i conti siciliani. La questione della revisione dell’autonomia deve essere compito della intera societa nazionale. 

Un compito che non deve partire solo dalla costatazione che l’autonomia siciliana è fallita, ma dalla presa d’atto che l’intero sistema delle autonomie regionali è miseramente naufragato. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. La degenerazione del regionalismo, che si è verificata in tutte le regioni d’Italia senza alcuna eccezione, ha prodotto da un lato la crescita elefantiaca dello stato burocratico assistenziale e clientelare che ha fatto saltare ogni limite alla spesa pubblica e dall’altro la crescita esponenziale del fenomeno della corruzione e della infiltrazione dei poteri criminali nelle istituzioni dello stato.

Di fronte a questo fenomeno non è sufficiente, come ha fatto il governo Monti, a studiare l’accorpamento di qualche provincia e la cancellazione di quelle inserite nelle grandi aree metropolitane. Bisogna ripensare l’intera esperienza delle autonomie proponendo un nuovo modello istituzionale che senza cancellare le identità e le necessità di rappresentanza locale elimini tutte quelle generazioni che hanno favorito la dissipazione, la corruzione e la sostanziale conquista da parte della mafia, della camorra e della ndrangheta di gran parte delle regioni meridionali. Lo spirito del ‘94, quindi, deve essere affiancato dall’esigenza del 2013. All’idea liberale si deve aggiungere l’idea del federalismo nazionale. E solo il centro destra liberale, nazionale e federalista può farlo.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:31