La vittima è lo stato di diritto

La contrapposizione che ha assunto anche toni aspri fra la procura di Palermo ed il Quirinale, di cui son zeppe le pagine dei quotidiani, si presta ad essere letta in molti modi. Si può infatti scorgervi un braccio di ferro fra gli inossidabili cercatori della verità (i componenti della procura palermitana) e chi invece desidera il mantenimento dello statu quo (il Capo dello stato); oppure uno scontro istituzionale fra la magistratura considerata nel suo complesso e la più alta rappresentanza della classe politica; o, infine, l’estremo tentativo di sopravvivenza della prima Repubblica, il suo colpo di coda, che segna già comunque l’agonia della seconda.

Tuttavia, forse, bisognerebbe invece prestare attenzione ad un significato ulteriore che quella contrapposizione oggettivamente riveste e che si lascia cogliere come un dato assai inquietante. Intendo dire che, al di là di ogni altra pur legittima considerazione critica, questa rude controversia dimostra un qualcosa di sconfortante: e cioè che in Italia non solo manca – come ripeteva tristemente Leonardo Sciascia – il senso del diritto, ma anche quello dello stato. Mettendo insieme i due aspetti, ovviamente complementari, a denunciare una tragica assenza è la consapevolezza di operare, per ogni organo istituzionale, all’interno della cornice dello stato di diritto.

Il che non è poco. Infatti, lo scontro oggi in atto ci dice che pezzi delle istituzioni preferiscono contrapporsi gli uni agli altri pur di perseguire ciò che sembra a ciascuno il proprio compito esclusivo e preminente. Così, la procura di Palermo, ritenendo proprio assoluto dovere investigare sui presunti patti fra lo stato e la mafia, non sembra badare ad ostacoli di sorta; sicché anche quando nel corso di intercettazioni legalmente disposte risuona la voce del Capo dello stato, si va avanti ugualmente, come nulla fosse, nel nome di quel principio (quello della ricerca della verità ) visto come un dogma assoluto. Dall’altro lato, il Quirinale – non appena la notizia delle intercettazioni è trapelata (e mai si troverà il colpevole di questo reato...) – si è mostrato sommmamente infastidito ed ha pensato bene di reagire con rapidità e durezza, sollevando conflitto di attribuzioni davanti alla Corte costituzionale, evidentemente ritenendo di trovarsi in una situazione di illegalità. Lo spettacolo è desolante.

A parte che si stenta a capire in che modo la procura possa essere davvero considerata un “potere” dello Stato, tale da poter costituirsi davanti alla Consulta per difendersi contro il Quirinale, rimane lo scenario – triste e deprimente – di organi istituzionali che invece di fare ciascuno il proprio lavoro, dedicano tempo, risorse ed energie a battersi gli uni contro gli altri. Nessuno di essi sembra comprendere che le finalità istituzionali dello stato – governate dalle regole del diritto – non sono e non possono essere viste come sganciate le une dalle altre o, al limite, contrapposte, perché, al contrario, tutte convergono in modo armonico ed omogeneo. Voglio dire che il principio della ricerca della verità rimane degno di essere perseguito se, e soltanto se, non entri in conflitto con altre finalità istituzionali di livello pari o superiore: in questo caso entra in evidente conflitto con le prerogative e le garanzie approntate a favore del Capo dello stato; per altro verso, il principio consacrato in tali garanzie va perseguito se, e soltanto se, non ponga nel nulla il disegno complessivo dell’assetto istituzionale che assicura l’indipendenza della funzione giudiziaria, mettendo nel conto, fra l’altro, che il Capo dello stato è anche presidente del Csm, organo da cui dipendono le scelte disciplinarmente rilevanti dei magistrati e che, nella specie, il Quirinale non ha ritenuto (incomprensibilmente) di attivare. Se questo necessario “sguardo d’insieme” fosse stato esercitato da entrambe le parti, o almeno da una di esse, lo scontro cui oggi assistiamo si sarebbe forse evitato. Ma il senso dello stato e del diritto – vale a dire dello stato di diritto – è come il coraggio di Don Abbondio: chi non ce l’ha non se lo può dare.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:31