La Sicilia va vista come la spia del disastro in cui si trova il paese. Il fallimento del governatore Lombardo è la dimostrazione più evidente che il regionalismo e l’autonomismo senza regole e senza responsabilità rappresentano la causa prima del gigantesco debito pubblico italiano. Lo scontro tra la procura palermitana e la presidenza della Repubblica è il segno inequivocabile dello sconquasso che caratterizza la società nazionale, a causa della tendenza inarrestabile della magistratura a rompere gli argini dello stato di diritto esondando senza limiti a scapito degli altri poteri, e della crescente incapacità della classe politica di riportare il fenomeno entro i limiti della legalità fissati dalla Costituzione repubblicana.
Lombardo è il segno del tracollo di quella concezione autonomista che dagli anni ‘60 in poi ha concepito le strutture locali come semplici strumenti di lottizzazione a beneficio dei partiti da finanziare con il ricorso al debito pubblico. Ingroia è la dimostrazione che, dopo aver permesso alla magistratura inquirente di calpestare ogni forma di garanzia individuale dei cittadini in nome di una presunta etica della verità, la classe politica non può pensare di trasformare il Quirinale nell’ultima ed unica trincea contro la vocazione dei pm corporativi o ideologizzati a diventare i padroni incontrollati ed incontrollabili del paese. La Sicilia, allora, così come lo è stata in passato, è il laboratorio dove si anticipa il futuro dell’Italia. Solo che questo laboratorio non sta preparando la fine del regime democristiano attraverso il “milazzismo” degli anni ‘50, il compromesso storico degli anni ‘70, il giustizialismo orlandiano degli anni ‘80 o i plebisciti berlusconiani del 2000. Anticipa il tracollo verso cui corre il paese se non si dovesse capire in tempo il senso dei segnali che vengono dalle vicende siciliane e non si riuscisse a correre adeguatamente ai ripari. Ma come si dovrebbero comportare le forze politiche responsabili di fronte a questa anticipazione siciliana di quanto potrebbe avvenire all’intera Italia non giro di qualche mese (sempre che le manovre speculative di agosto non anticipino i tempi)?
Nessuno si può illudere che nel giro di qualche settimana o mese si possano correggere le distorsioni del sistema del localismo che ha portato alla moltiplicazione infinita dei centri di spesa senza alcun genere di controllo. E nessuno può pensare che dalla trincea del Quirinale possa partire un’offensiva vittoriosa contro l’invasione delle procure ideologizzate. Per ricreare le condizioni dello stato di diritto alternate in alcuni decenni di forsennatezza ci vogliono tempi lunghi e tempre forti di cui oggi non si vede traccia. Qualcosa, però, una classe politica seria potrebbe comunque fare. E proprio perché ad alimentare le manovre della speculazione internazionale ed il rischio di collasso c’è la sensazione che dopo le elezioni in primavera il paese sia condannato ad una nuova fase di ingovernabilità, l’impegno dei partiti responsabili dovrebbe concentrarsi proprio sulla necessità di contrastare questa senzazione e questa preoccupazione. Qualcuno pensa che l’unico modo sia di proporre una grande coalizione anche per la prossima legislatura.
Ma come si può pensare di creare una grande coalizione se si avvia la campagna elettorale all’insegna della demonizzazione di un avversario che in nome dell’emergenza dovrebbe continuare ad essere un alleato di governo? Una campagna elettorale misurata, magari segnata dalla identificazione delle riforme da realizzare comunque nella legislatura, può risolvere la contraddizione. Una campagna elettorale violenta è destinata solo ad accelerare l’effetto-Sicilia su tutta l’Italia.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:14