Chiudiamo le fabbriche di scartoffie

In tema di spending review, o revisione della spesa pubblica che dir si voglia, a mio avviso occorrerebbe osservare le cose dal basso, prima di cominciare ad intervenire su una questione tanto difficile e delicata. Soprattutto al fine di comprendere la effettiva necessità della giungla di uffici e di competenze che lo Stato e chi per esso esercita nell’ambito della società. A questo proposito vorrei citare l’istruttiva esperienza che mi è, casualmente, capitata di vivere accompagnando un caro amico in uno dei cosiddetti centri provinciali per l’impiego, in quel di Perugia, i quali hanno sostanzialmente preso il posto dei vecchi uffici di collocamento. Ora, supponendo che il meccanismo di questi centri sia lo stesso in tutta Italia, la vicenda mi ha reso a dir poco perplesso circa la reale esigenza di mantenere in piedi queste strutture piuttosto dense di addetti - personalmente ho contato una dozzina di sportelli, più una lunga pletora di di svariate funzioni-. Molto in sintesi, il mio amico - dopo una lunga coda - è stato prima iscritto nella lista dei disoccupati  in uno di questi sportelli, per poi essere convocato nella stanza dei cosiddetti orientatori. Ossia una sorta di consulenti del lavoro che avrebbero il compito di indirizzare i soggetti che si rivolgono a queste strutture burocratiche. 

Nella sostanza, pur nella massima cortesia, il tutto si è risolto in alcuni consigli di carattere generale e nella segnalazione di alcuni siti internet su cui andare a cercarsi l’occupazione. E ciò mi ha fatto balenare un dubbio: ma se codesti centri per l’impiego servono in buona parte a fornire questo tipo di indicazioni, non sarebbe forse più conveniente sostituirli con una sorta di sportello virtuale? Tenere in piedi strutture così grandi per compilare elenchi e fornire indirizzi di agenzie interinali e di aziende che svolgono corsi di formazione mi sembra francamente esagerato. L’impressione, tanto per cambiare, è la stessa che si ha di fronte a tanti carrozzoni pubblici o a quelli finanziati coi soldi del contribuente: uffici e mansioni pletoriche proliferate sulla base di una desiderabilità sociale molto, ma molto teorica.

In realtà, in questo ed in tanti altri casi, sembra prevalere l’interesse personale di chi occupa certi ruoli pubblici e chi di ambisce ad ingrossarne le fila, piuttosto che quello predicato. 

 In merito al cosidetto mercato del lavoro poi, l’idea che un organo burocratico possa svolgere un utile compito di intermediazione  tra l’offerta e la domanda d’impiego mi sembra piuttosto campata per aria. Al pari di tante realtà pseudo - produttive che si alimentano con le risorse pubbliche nel campo della formazione, anche i centri per l’impiego sembrano rientrare in quella sorta di industria dei timbri e delle scartoffie che gravano sulla fiscalità generale. E sotto questo profilo vale lo stesso discorso che stiamo facendo da tempo sul piano della summenzionata spending review. Infatti, più che rivedere la spesa dei singoli settori pubblici, occorrerebbe verificarne per ognuno l’effettiva utilità sulla base del sempre valido rapporto costi/benefici. Se i professori che occupano la stanza dei bottoni cominciassero un simile lavoro dal basso, si scoprirebbe che i risparmi possibili da realizzare sarebbero assi più ingenti rispetto alle briciole su cui si discute in questi giorni.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:32