Cda Rai: un precedente inquietante

La tormentata elezione del nuovo Consiglio di amministrazione della Rai non può essere vista solo come l’ennesima dimostrazione della proterva volontà lottizzatrice di questo o di quel partito. O, a seconda del punto di vista da cui si è affrontata la vicenda, la riprova del conflitto d’interessi di Silvio Berlusconi e del Pdl (come hanno sostenuto gli avversari), o come l’ennesima dimostrazione che i pasticci e le manovre della sinistra e delle sue quinte colonne (come il senatore Amato) sono per definizione legittime e quelle degli altri sempre e comunque inqualificabili ed immorali.

Chi ha ha un minimo di memoria della ormai lunga storia dell’azienda radiotelevisiva pubblica italiana non può fare a meno di rilevare il tipo di innovazione politica ed anche istituzionale rappresentato dal vertice rinnovato di Viale Mazzini.

La storia indica che la Rai è nata come strumento diretto del governo in epoca fascista e che tale e rimasta per buona parte del secondo dopoguerra anche dopo aver abbandonato il nome di battesimo Eiar. A questa lunga fase in cui l’azienda radiotelevisiva nazionale è stata controllata direttamente dall’esecutivo di turno è subentrata la fase in cui , in nome della necessità di introdurre il principio del pluralismo e quello della democratizzazione di strutture per troppo tempo gestire con criteri di regime chiuso, il controllo è passato al Parlamento. Il Consiglio di amministrazione è così diventato lo specchio degli equilibri politici generali. Se la maggioranza era di centro destra la maggioranza del Cda era dello stesso colore e viceversa. Ed il meccanismo, che di fatto dava una veste pluralistica e parlamentare alla antico metodo Cencelli, era stato talmente perfezionato da prevedere, quando la maggioranza parlamentare e del Cda era di centro destra (ma solo quando la maggioranza era di colore azzurro perché in caso contrario la questione non si poneva proprio), la nomina di un presidente di garanzia proveniente dall’area culturale della minoranza (Annunziata, Petruccioli, Garimberti). Il nuovo Cda interrompe la fase del controllo parlamentare ma non restaura del tutto la fase del controllo dell’esecutivo. Apre una stagione intermedia in cui i tre rappresentanti scelti dall’esecutivo con procedura da vecchia Eiar (il presidente, il direttore generale ed il consigliere che rappresenta il Ministero dell’Economia) non possono contare su una maggioranza consiliare predeterminata. 

Ma hanno la possibilità di scegliere di volta in volta la maggioranza su cui poggiare. Il ché per un verso sembra rimettere la Rai nelle mani del solo esecutivo ma per l’altro rischia di rendere il settimo piano di Viale Mazzini un laboratorio di manovre e sperimentazioni politiche di ogni genere.

Il governo tecnico, quello che dovrebbe affrancare l’azienda radiotelevisiva pubblica dal condizionamento eccessivo della politica , diventa così non solo il padrone di fatto del principale ente informativo del paese ma assume , magari inconsapevolmente, il ruolo di alchimista politico potenzialmente capace di ogni spregiudicatezza. 

I sostenitori di Mario Monti assicurano che il suo governo si limiterà a gestire il nuovo potere ed il nuovo ruolo in Rai per rimettere sotto controllo i conti dell’azienda. Ma lo stesso potrà valere per un governo diverso ?

Siamo dunque in presenza di un precedente importante, significativo e , purtroppo, inquietante. 

Che, forse, non poteva essere evitato. Ma che, di sicuro, rilancia più forte che mai l’esigenza della privatizzazione della Rai.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:16