Monti arruolato e subito congedato

All’indomani del vertice di Bruxelles, dipinto dalla stampa italiana come una vittoria personale di Mario Monti sulla Merkel, Massimo D’Alema e Pierferdinando Casini si sono affrettanti ad arruolare d’ufficio l’attuale premier nel centrosinistra di governo della futura legislatura. Ma, a distanza solo di un paio di giorni ed alla vigilia dell’avvio della fase dei tagli della spesa pubblica che dovrebbero scongiurare l’aumento dell’Iva previsto per settembre, Stefano Fassina, responsabile economico del Pd e braccio destro di Pierluigi Bersani, si è affrettato ad annunciare il congedo illimitato per lo stesso Monti, definendo il suo esecutivo “un governo autistico”. Ed i sindacati, con in testa il segretario della Cisl Raffaele Bonanni, cattolico e fautore insieme a Casini della necessità di un grande centro alleato con la sinistra, ha subito annunciato la mobilitazione in difesa degli statali minacciati dai tagli governativi.

L’arruolamento di Monti nel momento di una euforia in gran parte provocata dal vizio nazionale della retorica e dal conformismo ed il suo congedo immediato nel momento in cui il governo deve incominciare ad affrontare il problema del taglio della spesa pubblica, sono il segno della confusione totale in cui versa il paese. Abbiamo un governo formato da burocrati e tecnici di cultura dirigista keynesiana e post-comunista che però è costretto dalla crisi a portare avanti un programma rigidamente liberale come quello della revisione e correzione dello stato burocratico-assistenziale. Abbiamo il blocco statalista della maggioranza, quello formato da Udc e Pd, che non può fare a meno di continuare a sostenere il governo della defenestrazione dell’odiato Berlusconi, ma che non può assistere passivamente all’attacco della propria base sociale ed elettorale da parte di un esecutivo liberale suo malgrado. 

Abbiamo un blocco liberale di centro destra che invece di fare fronte comune per condizionale le scelte liberali fatte dai dirigenti, si frantuma in mille rivoli tra chi si rifugia nel localismo sterile, chi nella protesta inutile, chi nel qualunquismo becero e chi si lascia tentare dal diventare, per opportunismo personale, i sostenitori dei dirigisti costretti dalla crisi ad indossare i panni dei liberali.

Mario Monti ha il difficile ed amaro compito di barcamenarsi tra queste contraddizioni.

Senza mai dimenticare di rispettare la linea di fondo indicata da una Europa che ha posto il rigore nella revisione dello stato sociale come condizione prioritaria della propria sopravvivenza.

Il dilemma, visto che l’ipotesi di elezioni anticipate ad ottobre è ormai tramontata e che la legislatura è destinata ad arrivare alla sua scadenza naturale, non è più se Monti riuscirà a giungere indenne al traguardo dell’aprile del prossimo anno. È, al contrario, se i due blocchi sociali riusciranno ad uscire dalla confusione in cui si trovano e sapranno presentarsi uniti e portatori di una proposta seria e comprensibile all’opinione pubblica del paese nel momento della verifica elettorale.

Monti non potrà barcamenarsi in eterno. Potrà forse farlo fino alla primavera del 2013. Ma da quella data in poi o ci sarà un chiarimento oppure bisognerà bisognerà prepararsi al peggio.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:05