Prende il via oggi l’ennesimo Consiglio europeo da cui dovrebbero uscire le risposte alla crisi del debito nell’Eurozona. Arriviamo a questo appuntamento, come governo e come paese, al culmine di un clima antitedesco alimentato dalle forze politiche e dalla stampa (populista ma anche espressione dell’establishment).
Ovunque toni bellicosi: minacce, avvisi, ultimatum che il nostro premier sarebbe in procinto di brandire, pugni che dovrebbe sbattere sul tavolo al cospetto della cancelliera Merkel. Va in scena una rappresentazione del vertice come una partita di calcio tra Italia e Germania (che in effetti si giocherà proprio stasera). L’analisi lascia il posto al tifo da stadio che vede contrapposte le due curve. Bisogna battere l’avversario, non mollare finché non riaprono i mercati lunedì mattina. Ma un vertice tra capi di governo è molto diverso da una partita di calcio. I risultati si ottengono se si raggiunge un compromesso, le rotture servono soltanto a scaricare la colpa del fallimento sugli altri, presentandosi con la coscienza a posto agli occhi dei propri connazionali.
L’equivoco sta tutto nella narrazione della crisi da parte di una classe dirigente incapace e parassitaria. L’idea che la soluzione sia a portata di mano, che da essa ci separerebbero solo la miopia, l’egoismo e l’irragionevolezza dei tedeschi, non è solo parziale, ma anche frutto di malafede. È l’alibi fasullo di chi porta per intero la responsabilità di averci guidati fino a questo punto, ma comincia ad esserlo anche di chi doveva tirarci fuori dai guai e invece sta fallendo come i suoi predecessori.
La convinzione diffusa che i tedeschi siano in debito nei nostri confronti, che ci debbano qualcosa per far diminuire il costo del nostro debito, solo perché noi avremmo fatto i nostri “compiti a casa”, è paradossale. Né il debito stellare, né i livelli insopportabilmente elevati di spesa pubblica e pressione fiscale – ciò che ci rende così esposti ai mercati – ci sono stati imposti dai tedeschi. E siamo proprio sicuri di aver fatto i nostri “compiti a casa”, o piuttosto così ci viene ripetuto da chi avrebbe dovuto farli ma non vuole o non ci riesce? Anche il premier Monti ha usato toni ultimativi, da tempo ormai pone la questione in termini di concessioni da “strappare” all’irrazionale rigidità teutonica.
Cosa è cambiato da quando, solo pochi mesi fa, sembrava il miglior amico della Merkel, si vantava di essere definito da un quotidiano tedesco il «genero ideale»? Forse l’istinto di conservazione tipico dei politici si è impossessato anche dei tecnici.
Di fronte ai primi fallimenti interni anche il governo Monti si è precostituito un facile alibi esterno, cominciando a parlare di “compiti a casa” fatti alla prima pagina di quaderno riempita, quando invece, rispetto alla lettera della Bce di quasi un anno fa, poco è stato fatto e male.
Sono i tedeschi i cattivi, che non capiscono e non ci aiutano, o forse è il nostro governo tecnico, in teoria più libero di agire, a non aver nemmeno iniziato a tagliare il debito, la spesa corrente e le tasse, e ad aver varato riforme annacquate?
Uno degli obiettivi di Monti al vertice, il pacchetto crescita, è il tipico shock keynesiano. L’altro è uno scudo anti-spread: l’acquisto sul mercato secondario di titoli dei paesi in difficoltà, ma al di fuori dello schema “salvataggio”, che prevederebbe aiuti in cambio di controlli e programmi vincolanti.
Ad usufruire dello scudo sarebbero infatti paesi in regola con la disciplina fiscale ma vittime della speculazione.
Una proposta pericolosa, perché ritenere gli spread “ingiustificati” è una valutazione che si presta a condizionamenti di natura politica, e perché la disponibilità ad acquisti sul mercato secondario potrebbe spingere a vendere, con l’unico risultato di permettere ai creditori esteri di ridurre la loro esposizione.
A parole tutti invocano più Europa per superare la crisi, ma siamo sicuri che l’ostacolo principale sia Berlino, e non qualche altra capitale?
Ad insistere sugli Eurobond sono infatti paesi che fino ad oggi non hanno mai mostrato di essere pronti a cedere quote di sovranità sui loro bilanci, in termini di maggiori vincoli e controlli, corrispettivo necessario per qualsiasi forma di condivisione del debito; e che non hanno mai presentato un piano concreto di garanzie reali (riserve auree e attivi patrimoniali) da offrire a fronte dell’emissione di bond comuni. Per questi motivi ai tedeschi il tema degli Eurobond appare strumentale, la pretesa di “pasti gratis”, e rischia di irrigidire la loro posizione e far fallire il vertice.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:38