I progressisti che vogliono le palafitte

Michele Serra ha scritto sul blog di Repubblica, all’indomani delle elezioni greche, un commentino a dir poco delirante. Prendendosela come tanti suoi sinistri colleghi con i mercati cinici e bari, si è chiesto - tra lo stupito e l’indignato serio - il motivo per il quale il giudizio di questi ultimi «conta più di quello dell’intera classe politica mondiale». «Se i mercati contano tanto -ha aggiunto - (tanto da affamare i popoli, volendo, e tanto da salvarli, sempre volendo) perché sono l’unico potere, in tutto l’Occidente, che non si espone mai, non parla nei telegiornali, non viene intervistato, fotografato, incalzato? Perchè siamo tutti ai piedi di un’entità metafisica che per giunta non dispensa alcun genere di risarcimento spirituale, anche scadente?».

Ora, pur capendo da quale pulpito ci arrivi un tale predicozzo, fa comunque impressione leggere un autorevole e seguito opinionista della cosiddetta area progressista mentre si esercita ad abbaiare alla luna. Oltre alla tipica visione dei tanti ignoranti economici colti in servizio attivo permanente, i quali farebbero volentieri a meno degli stessi, scomodi mercati, il Serra esprime con chiarezza la sua incrollabile fede nella politica quale strumento fondamentale di ogni Paese per accrescere il proprio benessere. A suo parere, il voto greco - come quello di qualunque altro Stato - dovrebbe essere ampiamente sufficiente per tacitare le turbolenze dei citati mercati, a prescindere da qualunque altra considerazione. Per chi ragiona in termini politicistici, infatti, tutto si ottiene attraverso un atto deliberato delle istituzioni democratiche. L’importante è recarsi nel seggio e votare. Se poi chi viene eletto porta al collasso il sistema economico e finanziaro della nazione, poco importa. Così come non interessa l’eventualità, in verità assai diffusa anche in Italia, che la maggioranza dei cittadini possano continuare a scegliere, nel segreto dell’urna, partiti e coalizioni che promettono di far vivere il Paese sopra le proprie capacità, magari confidando sui soldi degli altri. Ossia su tutti quei prestiti che gli odiati mercati avrebbero, tuttavia, il dovere sacrosanto di concedere all’infinito, onde non incorrerre negli anatemi dei pensatori al pari di Michele Serra.

Pensatori che credono fermamente in un modello dirigista mondiale, in cui la produzione e la distribuzione di risorse  vengano finalmente regolati da una grande ed onnipotente entità politica centrale, così da eliminare una volta per tutte i due fattori che disturbano il benessere a la pace sociale: il commercio e la finanza. Al grido “ad ogni Paese secondo i propri bisogni”, mi aspetto che parta la crociata del buon Serra contro ogni forma di investimento e speculazione, per l’affermazione di un sistema in cui non esistano più nè debitori e nè creditori. Nel caso di un successo, il ritorno all’era delle palafitte è assicurato.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:18