La vera bestemmia non è quella di Silvio Berlusconi che ipotizza, in caso di mancata trasformazione della Bce in Banca Centrale, l’uscita dall’euro ed il ritorno alla lira. La vera e più preoccupante bestemmia è quella di chi, di fronte alla crisi incalzante della moneta unica ed alla drammatica paralisi che ha colpito i leader europei e che impedisce loro di trovare una qualche soluzione di compromesso tra la disperata richiesta d’aiuto dei paesi deboli e quelli più forti, si oppone aprioristicamente a prendere in considerazione la possibilità di studiare un “piano B” nel caso tutto dovesse crollare.
Non è affatto vero che studiare, valutare, esaminare una qualsiasi soluzione diversa da quella della difesa ad oltranza di una moneta europea che oggi viene chiamata a pagare il prezzo esorbitante di non avere alle spalle una Europa politicamente unita, indebolisca il governo di Mario Monti alla vigilia del prossimo vertice di Roma. O, peggio, dimostrando la possibilità di una via d’uscita dalla crisi, condanni già da adesso l’euro ad una triste e devastante sconfitta. È vero l’esatto contrario.
Mario Monti può dare maggior forza al proprio tentativo di smussare il granitico rigore di Angela Merkel solo dimostrando che nel nostro paese non è rassegnato a subire passivamente l’intransigenza dei paesi dell’Europa continentale e nordica indifferenti alla sorte di quelli della fascia mediterranea e meridionale. Tatticamente, quindi, la “bestemmia” berlusconiana potrebbe avere un risvolto addirittura positivo se il presidente del Consiglio la sapesse utilizzare come strumento di pressione sugli alleati più egoisti e riottosi.
Ma non c’è solo una esigenza tattica da sfruttare. C’è anche e soprattutto una considerazione di fondo da non dimenticare mai. Un governo responsabile non può non avere un “piano B” a cui fare riferimento in caso disperato. Lo deve studiare, esaminare, preparare. Magari nella speranza di non doverlo applicare mai. Ma con l’obbiettivo che anche nell’eventualità più tragica ci si possa aggrappare ad una qualche ciambella di salvataggio. L’Italia dovrebbe mettere a frutto l’esperienza della sua storia. E scongiurare l’incubo della ripetizione del “tutti a casa!”, di un nuovo ed altrettanto devastante “8 settembre”. È giusto, allora, che Monti chiede ai partiti della propria maggioranza di sostenerlo in vista del prossimo vertice europeo. Ma è ancora più giusto che il premier ed il suo governo studino per tempo come comportarsi in caso di fallimento dell’incontro di Roma.
Per non ritrovarsi di fronte all’eventualità di “fuga a Pescara” dalle conseguenze incontrollabili. Chi, sulla scorta del caso Lusi, sostiene che la situazione politica del nostro paese sia simile a quella vissuta durante la crisi della Prima Repubblica compie un clamoroso errore. La valanga di discredito e l’ondata di antipolitica che dissolsero la classe politica di allora rassomigliano molto a quelle di oggi. Ma vanno inquadrate in un contesto diverso. Che non è quello di una crisi nazionale, chiusa come quella del ‘92-’93. Ma quello di una crisi che riguarda l’intero pianeta e l’Europa in particolare. Non siamo di fronte a una rivoluzione giudiziaria che si svolge dentro i nostri confini, ma nel momento più acuto di una guerra mondiale finanziaria che produce gli stessi effetti distruttivi di quella di condotta con le armi tradizionali. Attenti, allora, il rischio non è Grillo ma è il “tutti a casa!”.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:10