Il Pdl è diviso tra chi vorrebbe andare a votare in autunno e chi alla scadenza naturale della primavera del prossimo anno. Chi propone di staccare al più presto la spina al governo Monti e di andare alle elezioni anticipate il più presto possibile, guarda i sondaggi e registra che il sostegno all’esecutivo dei tecnici aumenta ogni giorno di più la percentuale degli elettori del Pdl che si rifugiano nell’astensione in segno di protesta. Di fronte a questi dati di fatto conclude che, per salvare il maggior partito del centrodestra, non ci sia altra strada che bloccare l’emorragia del consenso attraverso la rottura della maggioranza ed il riscorso alle urne. Sulla base di questo ragionamento, l’obbiettivo che i fautori delle elezioni anticipate perseguono è di ridurre comunque il danno, di mantenere entro limiti sopportabili una sconfitta per mano della sinistra che considerano ormai inevitabile. E la questione dei riflessi sullo spread di una crisi politica estiva? Per i fautori delle elezioni si tratta di un falso problema. Perché, così come la nascita del governo tecnico non ha risolto i problemi dell’economia, non può essere la caduta dello stesso governo a provocarne il collasso. Semmai l’attesa per il risultato elettorale e per la prospettiva di un governo più stabile di quello attuale può addirittura favorire una pausa nell’aggressione dei mercati al nostro paese.
Chi sostiene la tesi opposta e crede che l’amaro calice dell’appoggio a Monti debba essere bevuto fino alla scadenza naturale della legislatura, registra gli stessi dati sconfortanti dei sondaggi. Ma non è affatto convinto che possa essere sufficiente mandare a picco il governo dei tecnici per recuperare i voti in libera uscita. Anzi, teme che la diaspora possa essere accentuata e che, di fronte ad una rottura dell’attuale maggioranza, si possa verificare quella scissione del Pdl di cui tanto si è parlato in passato e che potrebbe essere favorita dallo scontato tentativo del Quirinale di creare una qualsiasi maggioranza per arrivare alla primavera del prossimo anno. Quelli che si oppongono alle elezioni anticipate, quindi, temono che una decisione del genere non solo non riduca il danno ma, addirittura, lo raddoppi. Provocando, insieme alla caduta del governo, anche la spaccatura irrimediabile del Pdl. Il tratto comune di queste due posizioni alternative è che poggiano entrambe sull’assioma della sconfitta scontata ed irrimediabile.
I primi vorrebbero contenerla, i secondi evitare che diventi definitiva. A nessuno, comunque, passa per la testa che, come dimostrano gli stessi sondaggi su cui si fonda la certezza della sconfitta, il popolo del centrodestra sarà pure rinserrato nell’astensione o tentato dalla protesta grillina, ma non ci pensa nemmeno a passare nel campo opposto della sinistra presunta vincitrice e continua a rimanere maggioranza, sia pure chiusa in un silenzio che non è più quello del passato ma che è fatto di delusione ed incazzatura.
C’è, allora, una terza strada tra chi propone le elezioni subito per ridurre il danno e chi le vuole il prossimo anno per evitare che la riduzione del danno ne provochi di maggiori? C’è. E passa proprio dalla presa d’atto che il popolo di centrodestra continua ad essere maggioranza. Sia pure delusa ed imbufalita ma sempre convinta che per salvare l’Italia non si debba consegnare le chiavi del potere a chi ha la responsabilità principale della crisi attuale. E che non si aspetta miracoli, demiurghi, invenzioni stravaganti ma un indispensabile rinnovamento attraverso la sostituzione degli impresentabili e l’assicurazione che chiunque prenderà il loro posto non tradirà le idee di fondo della maggioranza silenziosa: l’idea nazionale e quella liberale. Poi si potrà anche perdere. Ma con dignità e con la certezza di essere fedeli ad idee che consentiranno la rivincita.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:04