Riforma elettorale? Un falso problema

Se gli italiani prendessero consapevolezza che da mesi in Parlamento si dibatte su un falso problema, il cambio della legge elettorale, e se ne rimanda alle calende greche uno vero, la riforma della giustizia, chissà quanti voti in più per Grillo, l’anti-politica, le liste civiche.

Possiamo prendere spunto, a proposito del primo “falso” problema, da uno stralcio della domenicale conversazione radiofonica tra Marco Pannella e Massimo Bordin: una sorta di tormentone del buon senso e dell’onestà intellettuale, puntualmente inascoltato nelle alte sfere. Sostiene Pannella: «Guardate che se si cambia la legge elettorale il Consiglio d’Europa ci sanzionerà pesantemente qualora avessimo la faccia tosta di andare subito dopo alle elezioni con essa, senza fare passare quel lasso di tempo di almeno un anno che la giurisidizione europea ha stabilito come prassi». E questo per dare il modo  di cambiare i collegi elettorali e organizzare il tutto. Già un paio di anni orsono venne sanzionata la Bulgaria per questo motivo e il ripetersi della cosa non darebbe enorme credibilità al nostro paese. D’altronde ripetere l’errore già fatto con il “Porcellum”, voluto sì dalla Lega e da Casini, e incoraggiato dal Pdl, ma votato con entusiasmo anche da Veltroni che affrettò la morte del governo Prodi proprio perché credeva di avere la vittoria in tasca, sarebbe di un’idiozia diabolica. Sempre in materia di riforme inutili, se gli italiani capissero fino in fondo che invece di dimezzare l’emolumento dei parlamentari si è scelta la scorciatoia (e l’imbroglio) di dimezzare il numero degli stessi, cosa che inevitabilmente restringerebbe ancora di più la rappresentatività già bassissima per motivi di ordinaria partitocrazia, forse non sarebbero tanto contenti.

Ma queste cose, oltre che le nomine del cda Rai e le successive lottizzazioni in cascata, sono quanto appassiona la nostra classe politica. C’è invece una riforma, quella della giustizia, che da sola potrebbe valere un paio di punti del Pil, altro che la settimana di ferie in meno (a proposito Polillo quando parlava di ferie di tre mesi forse pensava ai politici e ai magistrati, non di certo alla gente comune, ndr). 

Su questo versante invece, tutto tace. O meglio, si agita solo a livello di annunci. Come quello della preoccupante riforma della giustizia civile promesso dalla Severino. Che non riuscendo a organizzare il lavoro dell’arretrato delle corti di appello sembra essere decisa ad abolire l’istituto stesso dell’appello rendendo sempre più difficile ricorrervi. Ebbene, la Severino, allieva prediletta di Giovanni Maria Flick, si spera non ripeta i tragici  errori semplificativi del suo maestro.

Il quale, credendo di risolvere il problema dell’arretrato dividendo il lavoro per tre fece quella magnifica riforma del giudice unico, penale e civile, con il risultato di dovere anche aumentare le sedi distaccate in frazioni di province sparse in tutta Italia. Riforma a suo tempo osannata dall’Anm. Risultato? Oggi ci si accorge che non solo l’arretrato è rimasto uguale, ma che le sedi distaccate vanno tutte chiuse, anzi richiuse, per mancanza di fondi e di utilità nel tenerle aperte. Queste sono le riforme dei tecnici amati dalla sinistra e sopportati dal Pdl che si illude che cali la bufera. Ma se invece di prendere in giro gli italiani per un altro paio di legislature si prendesse il coraggio di mandare avanti l’unica riforma possibile in materia di giustizia? E cioè l’amnistia per la repubblica di cui parlano da mesi Pannella e Bordin per radio la domenica? 

Quello sì che sarebbe un volano utile, oltre che per il ritorno alla legalità costituzionale delle carceri italiane, per la deflazione del contenzioso dei  magistrati anche del civile. Purtroppo però “non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire”. E il proverbio, abbinato con il detto “nemo propheta in patria”, che ben si addice a Pannella e a tutti i radicali, ha ridotto l’Italia nelle attuali condizioni economiche e politiche da paese del terzo mondo, con una “democrazia reale”, simile a quella “realtà” tipica dei paesi socialisti del patto di Varsavia, e con uno stato di diritto semplicemente inesistente. Ecco quindi perchè gli investitori stranieri stanno alla larga delle nostre coste. Altro che articolo 18, produttività o troppe ferie. Sarebbe ora che i governanti la piantino di prendere in giro la nostra intelligenza.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:30