Tecnici utili, politica indispensabile

Non c'è alcuna alternativa al governo di Mario Monti. Non esiste alcuna possibilità che il Parlamento riesca a dare vita ad una diversa maggioranza e ad un altro esecutivo. E non si può prendere neppure per ipotesi quella di interrompere la legislatura ed andare al voto prima della scadenza naturale della primavera del 2013. L'aggravamento della crisi è talmente intensa da rendere la sopravvivenza del governo Monti un atto da considerare addirittura obbligatorio. Non c'è da stupirsi, quindi, che la fiducia sulla legge anti-corruzione sia stata votata anche dal Pdl e dall'Udc, cioè dai partiti che non condividono affatto lo spirito ottusamente giustizialista che pervade il provvedimento.

La priorità da perseguire ad ogni costo è impedire l'apertura di una fase di instabilità politica destinata a rendere irreversibile la crisi in cui versa il paese. Non si tratta di puntare all'obbiettivo impossibile della eliminazione del danno. Si tratta, più realisticamente, di contenere il più possibile il danno stesso. E per cercare di ottenere questo risultato non c'è altra strada che mantenere in vita l'attuale esecutivo fino alla scadenza naturale della legislatura. Anche se in tempi normali le vicende degli esodati imporrebbero di mandare bruscamente a casa i tecnici che non sanno fare i conti. E la tendenza dell'esecutivo a piegarsi alla prepotenza della lobby dei magistrati e dei giustizialisti che la sostengono giustificherebbe non l'azione di qualche "franco tiratore" o l'assenza diplomatica di qualche parlamentare dissidente ma la scelta ragionata di buttare all'aria il tavolo governativo in nome delle libertà e delle garanzie dei cittadini. L'impegno alla riduzione del danno attraverso la tenuta in vita di un governo inadeguato ma privo di alternative, però, non significa assumere un atteggiamento di totale e rassegnata passività.

Tra meno di un anno si dovrà andare comunque a votare ed a scegliere un nuovo governo. E non si possono far passare invano i mesi che ancora mancano alla verifica elettorale. Bisogna, al contrario, utilizzarli al meglio per creare le condizioni affinché non ci sia più bisogno di accontentarsi di ridurre il danno attraverso un governo di tecnici sprovveduti imbevuti di quel pensiero unico luogocomunista che è il responsabile principale delle condizioni disastrose in cui versa la società italiana. Può sembrare bizzarro sostenere una tesi del genere nel bel mezzo della tempesta perfetta alimentata dai media e dagli stessi tecnici contro la classe politica. 

Ma da questa crisi non si esce facendo bene i conti o recitando in inglese la parte degli austeri nei vertici europei. Si esce solo con una grande strategia politica diretta a rompere l'accerchiamento dei burocrati e dei dirigisti sia sul fronte europeo che sul fronte interno. La crisi in cui l'Italia e l'Europa sono cadute non è di natura economica e finanziaria, come si vorrebbe far credere puntando l'indice solo sull'apparenza. È di natura politica. E non può avere altra soluzione che non sia politica. Insomma, una nuova Italia in una nuova Europa. Senza euroburocrati, luogocomunisti e giustizialisti disposti ad ogni forzatura autoritaria per soddisfare le proprie nevrosi.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:27