Tra qualche anno, quando si racconterà la storia dell'epilogo della Seconda Repubblica e si analizzerà il ruolo avuto dai vari personaggi della scena pubblica nazionale, non si potrà fare a meno di riconoscere ciò che oggi nessuno si sogna nemmeno di pensare. Cioè che Giorgio Napolitano ha preso un abbaglio gigantesco. E che al termine di una carriera politica segnata sempre da grande equilibrio e da grande professionalità, ha compiuto un clamoroso errore dovuto ad un eccesso di nervosismo, ad un offuscamento di una professionalità formatasi nei lunghi anni di comunismo togliattiano ed affinata in alcuni decenni di attività parlamentare nazionale ed europea. L'errore capitale del Presidente della Repubblica è di non aver capito che per guidare il paese fuori dalla crisi non serviva un governo guidato da un tecnico, ma un esecutivo retto con mano ferma e determinata da un politico di spessore, competenza e fantasia.
Si dirà, a giustificazione di Napolitano, che un politico di tale portata non c'era allora e non c'è neppure oggi. Il che è senz'altro vero. Ma è ancora più vero che l'esperienza del governo tecnico ha dimostrato in maniera fin troppo evidente che la ricetta di cui il paese ha assolutamente bisogno non è affatto tecnica. Non c'era alcun bisogno di distogliere dagli amati studi titolati professori per realizzare una riforma delle pensioni segnata indelebilmente dalla distrazione sui famosi esodati. Non c'era alcuna necessità di mobilitare grandi burocratici e super-esperti e concentrare per mesi l'attività del governo su una riforma del lavoro che non solo non ha prodotto risultati positivi in termini di occupazione, ma è servita solo ad aumentare drammaticamente il tasso di disoccupazione. E non c'era alcuna esigenza di tirare fuori dal cilindro presidenziale rettori di prestigiose università, banchieri di altissimo livello ed il più austero e più titolato tecnico tra i tecnici europei per decidere che per avere un qualche miglioramento nei conti pubblici basta stringere il torchio fiscale che spreme i contribuenti.
Qualcuno ha detto che bastava un semplice ragioniere per fare ciò che Mario Monti ha fatto. Ma è una esagerazione polemica. Perché sarebbe stato sufficiente un mediocre politico, purché provvisto di un adeguato sostegno parlamentare, consapevole che la situazione d'emergenza andava sfruttata per fare riforme effettivamente incisive e, soprattutto, per compiere ciò che l'euroburocrate Monti non potrà mai realizzare: un'azione politica incisiva a livello europeo per contrastare l'egemonismo tedesco ed impedire che l'euro, da fattore di stabilità per il nostro paese, diventi la principale causa della rovina.
Ora si discute se il governo dei tecnici che non sa fare le riforme, dimentica gli esodati, non favorisce la ripresa, sa solo aumentare le tasse e le tariffe e sa fare solo la comparsa, sia pure austera, a livello europeo, debba arrivare fino al termine naturale della legislatura o portare il paese ad elezioni politiche in autunno. Ma si tratta di una discussione inutile. Napolitano ha già fatto sapere di essere contrario ad elezioni anticipate e di voler protrarre l'agonia degli "inutili" fino alla primavera del 2013 . Per lui, come per gli antichi, vale evidentemente la regola del "peccare fortiter".
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:10