Ultima chiamata per il governo tecnico

Al di là di qualche rimbalzino tecnico, sono convinto che il governo Monti abbia imboccato la strada di un lento ma inesorabile processo di erosione del  consenso riscosso nel Paese, così elevato all'indomani della sua investitura. 

Al pari di ciò che è accaduto a Berlusconi, al Pdl ed oramai all'intero sistema dei partiti, anche nei confronti dell'esecutivo dei professori sta montando una sfiducia popolare non  motivata chiaramente su un piano politico-pragrammatico (da questo punto di vista non si può pretendere che l'elettore medio sia un raffinato esperto di finanza e di economia), bensì basata sulla percezione reale che nel complesso la situazione del Paese non si raddrizza. 

In altri termini, dopo aver sperimentato una catastrofica alternanza democratica durata un ventennio, gli italiani - dopo una iniziale euforia per la novità di un governo tecnico - stanno incominciando a rubricare pure il ministero Monti nel novero dei nostri molteplici fallimenti, appartenenti sia alla prima che alla seconda Repubblica.

Da questo punto di vista, le ottimistiche previsioni espresse molte volte dallo stesso premier oggi risuonano piuttosto sinistre. Soprattutto quando, con uno spread che sta riguadagnando rapidamente la soglia critica dei 500 punti, il bocconiano prometteva di annullare in poco tempo il differenziale tra i tassi italiani e quelli tedeschi. 

Ma anche sul piano delle liberalizzazioni, sostanzialmente abortite - sulle quali il premier ha sparato cifre inverosimili in quanto ad impatto economico positivo - e sulla riforma del mercato del lavoro l'immagine offerta dal governo è stata pessima: grandi annunci di svolte epocali, per poi ripiegare in un quasi nulla di fatto, assecondando l'interessato gattopardismo protezionista delle lobby e dei sindacati. Ed anche su quella che appare come l'ultima spiaggia per Monti & soci, ovvero la tanto decantata spending review, la montagna di verifiche messe in atto dal ministro Giarda sembra che stia per partorire il topolino di un taglietto alla colossale spesa pubblica.

Ora, ricordando sempre la riforma previdenziale quale unico prevvedimento di una certa importanza sul piano dei risparmi a regime, per il resto l'esecutivo in carica rischia di restare nell'immaginario dei cittadini come quello che ha drasticamente aumentato una tassazione già molto elevata, senza tuttavia modificare il desolante quadro del Paese se non in peggio, attraverso un ulteriore effetto recessivo prodotto dalle recenti spremiture fiscali. Ed è proprio a causa del micidiale combinato disposto di grandi sacrifici richiesti e nessun tangibile risultato sul piano economico-finanziario che il presidente del Consiglio ed i suoi ministri si stanno giocando i residui di una credibilità inizialmente piuttosto alta. 

Per questo motivo, se Monti non vuole arrivare alla scadenza naturale della legislatura completamente logorato, sempreché un improvviso peggioramento dei mercati finanziari non lo costringa a fare le valigie prima del previsto, dovrà necessariamente lanciare un forte segnale di cambiamento entro e non oltre l'estate prossima; il che dal punto di vista del fronte liberale non può che prevedere una qualche riduzione dell'attuale perimetro pubblico, tasse comprese. 

In assenza di ciò, gli uomini al timone possono pure accantonare ogni velleità politica nella prossima legislatura, accontentandosi di godersi il cosiddetto cadreghino solo nei pochi mesi che restano. Staremo a vedere.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:32