Il problema del Pdl non è la Santanchè che un giorno si ed un giorno pure minaccia di candidarsi a leader dell'area moderata alla guida di una lista di berlusconiani puri e duri. E non è neppure la Brambilla che ipotizza lo spacchettamento del partito in tante liste e listarelle diverse per poter concretizzare il proprio sogno di dare vita ad una propria lista di animalisti fondamentalisti. Il vero problema del Pdl è Silvio Berlusconi che non sa dire no alle "signore". E che, per non dare un qualche dispiacere alle sue fedelissime, lascia intendere loro che la lista degli iperberlusconiani guidati dalla Erinni di Porto Cervo si può fare e che l'aggregazione degli animalisti capace di pescare a destra ed a sinistra è una operazione destinata ad avere un grande futuro.
I dirigenti del Pdl, quelli che come Sandro Bondi presentano le dimissioni, come Angelino Alfano denunciano l'"avvelenamento dei pozzi", o come tutti gli altri s'imbufaliscono per un fiorire di sciocchezze che all'indomani della sconfitta amministrativa alimentano la sensazione generale di un partito allo sbando, conoscono la debolezza del Cavaliere. Ed anche se conoscono altrettanto bene la determinazione delle due signore in questione nel martellare ossessivamente il Capo, dovrebbero evitare di farsi saltare i nervi e cercare di elaborare tutti insieme una strategia capace di far uscire il Pdl da guado in cui è finito da più di un anno a questa parte. Questo guado è rappresentato dalla scelta obbligata di Silvio Berlusconi di fare un passo indietro. Il Cavaliere è stato costretto ( questa volta il conflitto d'interessi ha funzionato al contrario) ad abbandonare la guida del governo e quella del proprio partito. Ma, secondo una metafora calcistica diventata un luogo comune, non ha attaccato le scarpe al chiodo. È uscito dal campo per "infortunio". Ma continua ad essere l'"anima" dello spogliatoio e lascia che i suoi tifosi ed i suoi avversari continuino a sperare od a temere che presto o tardi, superato l'infortunio, possa tornare a giocare ed a far vincere i propri colori. Il problema, dunque, è Berlusconi. Che non c'è ma c'è, che sta fuori ma è come se stesse sempre dentro, che da forza e legittimità ad Angelino Alfano ma, al tempo stesso, costituisce un peso che condiziona e paralizza il segretario. Insomma il guado è lo stesso Berlusconi. Il Pdl non sa in maniera chiara e definitiva se il Cavaliere vuole tornare in campo.
O se intende, viceversa, uscire definitivamente dalla partita e chiudere la propria folgorante carriera di centravanti di sfondamento della squadra dell'area moderata. Per questo rimane paralizzato con i piedi a mollo e con la testa vuota. Ma può un partito che avrebbe l'ambizione di rappresentare il fattore di coagulo di un fronte moderato da sempre maggioranza nel paese restare fermo nell'acqua dell'incertezza del leader e lasciarsi consumare da una corrente che spinge sempre più forte verso altre direzioni? Se ci fosse un gruppo dirigente coeso, provvisto di idee comuni ed animato da una grande passione politica e civile, questo gruppo si farebbe carico del problema aiutando Berlusconi ad uscire dal guado ed a ritirarsi nell'orticello di Cincinnato (orticello per modo di dire visto che gli orticelli berlusconiani hanno dimensioni e forme ben diverse). Prenderebbe in mano il partito ed il proprio futuro. E si preparerebbe già da oggi ad una battaglia elettorale che, con un sistema elettorale ancora maggioritario, potrebbe concludersi con una sconfitta ma mai con una dissoluzione. Ed in democrazia le forze politiche solide che perdono hanno sempre una possibilità di rivincita. Ma esiste un gruppo dirigente capace di superare le proprie divisioni interne e compiere una operazione così impegnativa? E, soprattutto, esiste un gruppo dirigente del Pdl consapevole che se una volta era necessario andare "oltre il Polo" oggi l'unica strategia da seguire è quella dell'"oltre Berlusconi"?
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:11