Ormai Bersani vuole le elezioni

Soltanto gli sciocchi possono pensare che lo scontro sul decreto anticorruzione tra Pdl da una parte e Pd, Idv e Fli dall'altra faccia parte dell'eterno confronto sui temi della giustizia che si consuma nel nostro paese da più di vent'anni a questa parte. Lo scontro tra garantisti da una parte e giustizialisti dall'altra, tra chi si preoccupa di tutelare i diritti individuali e chi bada all'applicazione rigida dei diritti collettivi, è solo un pretesto. La causa è tutt'altra. Ed è l'avvio di fatto della campagna elettorale da parte di un Pd che dopo la vittoria di Hollande in Francia sembra aver definito, una volta per tutte, la propria strategia che non è più rivolta a mantenere ad ogni costo in piedi il governo Monti, ma che è ormai diretta a raggiungere il più rapidamente possibile la data delle prossime elezioni politiche. Insomma, il colpo di mano del Pd sul decreto anticorruzione è di fatto l'avvio della campagna elettorale dei democratici.

Qualcuno ironizza su questa scelta e sostiene che, per cogliere il vento che viene dalla vittoria socialista a Parigi, Pierluigi Bersani si è trasformato nell'Hollande dei poveri. Ora il segretario del Pd non predica più la necessità del rigore ma, appropriandosi dei cavalli di battaglia del nuovo inquilino dell'Eliseo, insiste sulla crescita da realizzare isolando la rigida Germania e puntando alla tassazione dei grandi patrimoni attraverso la "madre di tutte le tasse", che per la sinistra italiana ed internazionale è la patrimoniale.

Ora, si può anche ironizzare sulla folgorazione di Bersani sulla via di Parigi. Ma non si deve sottovalutare la svolta del segretario del Pd. Perché indica con chiarezza che la prospettiva delle elezioni anticipate ad ottobre provocate dalla sinistra (perché convinta di poter bissare la vittoria socialista francese) non è affatto peregrina. Non è un caso che il Pd abbia lasciato tranquillamente incagliare la trattativa per la riforma elettorale. A Bersani non interessa più modificare in senso proporzionale il sistema del voto per poter arrivare al governo, secondo il vecchio schema di Massimo D'Alema, attraverso l'alleanza con il Terzo Polo. Oggi, confortato dai sondaggi e dalla constatazione che il Terzo Polo non esiste più, conta di conquistare la maggioranza da solo. E non ha alcuna necessità di modificare un Porcellum che, oltre tutto, con le liste bloccate gli offre il vantaggio di poter scegliere a proprio personale vantaggio i parlamentari Pd della prossima legislatura.

A spingere Bersani ad aprire la campagna elettorale per il voto in autunno ci sono poi due fattori legati ai rischi che il Pd potrebbe correre se si votasse alla scadenza naturale del 2013. Il primo è che i tempi allungati servono solo a far crescere la concorrenza rappresentata dal movimento di Grillo. E più il governo Monti va avanti grazie al sostegno del Pd, più i grillini crescono con i consensi strappati allo stesso Pd. Il secondo è che, con qualche mese di tempo in più, Silvio Berlusconi avrebbe la possibilità di concretizzare la sua idea della confederazione dei moderati e rifare lo stesso scherzo che fece nel '94 alla "gioiosa macchina da guerra" di Achille Occhetto. Bersani può correre il rischio di arrivare alla primavera del 2013 con il rischio di essere schiacciato nella morsa del Cavaliere e del Comico? Sicuramente no. Di qui l'avvio di una campagna elettorale che però parte con un difetto di fondo: non tiene conto che, delle esigenze personali di Bersani, alla gente non importa un fico secco.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:11