Ha fatto bene il presidente del Consiglio non solo a ribadire la ferma condanna degli atti di intimidazione e aggressione subiti da Equitalia e dai suoi dipendenti, ma a manifestare anche fisicamente la sua vicinanza. Speriamo però che nei suoi richiami sulle «polemiche strumentali» e le «parole come pietre» non vi sia il tentativo di confondere le critiche, anche aspre, rivolte al governo e a Equitalia (ai suoi vertici naturalmente) con le nefandezze dei violenti. Perché se il concetto che si vuole far passare è "non criticate Equitalia perché altrimenti ci vanno di mezzo lavoratori incolpevoli", allora l'impressione è che più che tutelarli si voglia usarli come "scudi umani" dello Stato nel dibattito su pressione e repressione fiscale.
Purtroppo le parole che abbiamo ascoltato ieri dal premier Monti non lasciano ben sperare. «Se tutti pagassimo il dovuto, tutti pagheremmo meno e avremmo servizi pubblici migliori» è un'affermazione smentita dai fatti nei decenni, a cui gli italiani fanno bene a non credere più e che ripetere non rafforza certo la credibilità delle istituzioni e di chi è chiamato a riscuotere le tasse per conto dello Stato. Innanzitutto, perché significa rimandare il "pagheremo meno" all'anno del mai: in nessun Paese tutti pagano il dovuto. Non come in Italia, ma anche in Francia e in Germania l'evasione fiscale è piuttosto alta, si calcola rispettivamente 130 e 165 miliardi (15 e 16% del Pil). Inoltre, nel corso degli anni gli italiani onesti hanno più che ripagato i mancati introiti imputabili all'egoismo degli evasori. Ma la corsa della pressione fiscale non si è mai arrestata. L'affermazione andrebbe quindi capovolta: pagare meno per pagare tutti. Anche gli esperti dell'Fmi in missione in Italia, incontrati ieri da Monti, scrivono nel loro rapporto che «più sono elevate le aliquote più aumenta l'evasione», che quindi si combatte tagliando le tasse.
Quanto a Equitalia, non c'è dubbio che è chiamata a far rispettare la legge, e che impiegati e funzionari non c'entrano nulla se quelle leggi sono sbagliate. Ma il direttore Befera e i vertici delle agenzie di cui è alla guida sono corresponsabili della legislazione attuale, dell'architettura repressiva che si è andata costruendo negli anni. Godendo giustamente, per i loro risultati, di un'altissima considerazione presso il legislatore, hanno collaborato alla scrittura di quelle norme, spesso richieste espressamente per aumentare a dismisura i loro poteri coercitivi.
Ripetere ossessivamente, come un mantra, che Equitalia non fa
altro che applicare la legge, che svolge il ruolo di "cassiere",
limitandosi a riscuotere crediti fiscali determinati da altri,
lungi dall'essere una valida giustificazione, rappresenta la
principale anomalia del sistema. E' accettabile che il riscossore
per conto dello Stato proceda trincerandosi dietro al fatto che
sono gli enti impositori a determinare le somme dovute, quindi
fregandosene della legittimità o meno delle sue richieste, come
farebbe qualsiasi picciotto mandato a riscuotere il pizzo? Quando
l'ente impositore sbaglia, ignora o disapplica una legge a
svantaggio del contribuente, Equitalia è corresponsabile, e i casi
purtroppo sono frequenti e documentati. Invece si ostina ad opporre
una pretesa irresponsabilità rispetto alle somme addebitate e si
attribuisce una sorta di "diritto all'ignoranza" di sospensive e
sentenze di cui non gode nessun altro in Italia, né singoli
cittadini né enti.
Tutti gli interventi anticipati dal premier Monti - su aggio,
ipoteche, rateizzazioni - vanno nella giusta direzione, ma
Equitalia dovrebbe farsi carico direttamente delle obiezioni del
contribuente, valutarle nel merito e nel caso sospendere
l'esecutività delle cartelle, invece che limitarsi a rimpallarle
verso l'ente, mentre i termini continuano a decorrere dando luogo a
nuove cartelle. Il problema è che Equitalia nasce appositamente per
questo: come frangiflutti degli enti impositori per rendere più
difficile e oneroso al contribuente contestare gli addebiti.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:30