Non è il presidente della Repubblica la fonte di legittimazione del governo. L'unica fonte di legittimazione è il Parlamento. Ma Mario Monti ha inviato una lettera a Giorgio Napolitano per ribadire la sua ferma intenzione di portare a termine il proprio mandato. E non si è presentato in Parlamento per spiegare che, a dispetto delle difficoltà incontrate, non intende gettare la spugna e conta di proseguire nella sua azione di risanamento fino alla scadenza naturale della legislatura.
L'anomalia è evidente. Ma nella stampa di regime (mai definizione antica è stata così attuale) nessuno si sogna di sottolinearla. Semmai viene indicata come strana bizzarria il comportamento dei partiti che, dopo la verifica del proprio consenso avvenuta nella recente tornata elettorale, sono costretti a ridefinire le proprie strategie per conservare o recuperare il consenso acquisito o perduto.
Tutto questo dimostra non solo l'eccezionalità del momento. Che è rappresentata da un governo tecnico, espressione diretta di un Capo dello Stato provvisto non di poteri reali ma solo di potere morale, che può operare senza alcun problema di giudizio (non parliamo di vincoli di mandato) da parte del corpo elettorale. Ma indica anche in maniera evidente come proprio l'eccezionalità del momento imponga una netta distinzione di ruoli tra il governo ed i partiti. Quelli che, in nome dell'autorità morale del presidente della Repubblica e delle circostanze eccezionali della fase politica e grazie al loro sostegno in Parlamento, consentono all'esecutivo di poter evitare di sottostare agli umori ed alle pressioni dei cittadini.
Questa distinzione è indispensabile perché l'eccezionalità della deroga alle regole democratiche non diventi una normalità di stampo autoritario. Ma è anche indispensabile per consentire alle forze politiche di continuare a sostenere in Parlamento un governo che per affrontare l'emergenza può tranquillamente infischiarsene del consenso popolare.
Monti, che nella sua vita non ha mai avuto la necessità di confrontarsi con il problema del voto perché perennemente cooptato, non comprende la necessità della distinzione. E lo stesso Napolitano, che capisce perfettamente ma ha alle spalle una cultura ed una esperienza che lo spingono a trovare facili giustificazioni alle semplificazioni emergenziali di stampo autoritario, tende a considerare l'esigenza della diversità come una sorta di pericoloso dissenso ed una grave dissociazione.
Ma, con tutta l'emergenza, la nostra rimane sempre una democrazia. E per conservarla tale è indispensabile che i partiti, soprattutto quelli della maggioranza che tengono in vita il governo con licenza di operare senza consenso, mantengano in qualche modo un rapporto stretto e proficuo con il proprio elettorato. L'alternativa, come non capisce la stampa di regime che al contrario crede di rinforzare il governo delegittimando le forze politiche, è l'istituzionalizzazione dell'autoritarismo. O, al contrario, la cancellazione della democrazia rappresentativa da parte delle forze antisistema e la caduta del paese verso un modello greco o, peggio, libico. I partiti, dunque, sia pure evitando di staccare la spina e consentendo al governo di affrontare l'emergenza fino al termine della legislatura, hanno il dovere di non perdere mai di vista il problema del consenso. In questo modo diventano il solo ed unico baluardo della democrazia. E possono compiere quell'azione di rigenerazione e di rilegittimazione che è indispensabile per continuare a svolgere la loro funzione istituzionale. All'inizio degli anni '20 le forze politiche di allora non furono all'altezza della situazione. E venne l'autoritarismo fascista come alternativa alla rivoluzione comunista. Speriamo che la storia non si ripeta. Perché quando ciò avviene, come diceva Marx, la tragedia diventa farsa. Magari con Grillo primo attore.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:13