Il Partito della nazione proposto da Pierferdinando Casini ha lo stesso obbiettivo del rassemblement ipotizzato da Silvio Berlusconi: quello di mettere insieme tutti i moderati all'interno di un contenitore, unitario o articolato che sia, in grado di rappresentare la maggioranza degli italiani.
Ma l'uguaglianza dell'obbiettivo rende possibile l'unificazione dei progetti? Fino al voto amministrativo di domenica scorsa l'ipotesi appariva impossibile. Il disegno strategico del leader dell'Udc prevedeva che il Terzo polo raccogliesse una parte consistente dei voti in libera uscita del Pdl e che, grazie ad una nuova legge elettorale di tipo proporzionale, una volta trasformato in Partito della nazione diventasse sul vecchio modello della Dc l'asse portante di un sistema politico fondato sulla riproposizione di un rinnovato ed eterno centro sinistra. Al tempo stesso l'idea fatta balenare da Berlusconi di una sorta di confederazione delle forze moderate appariva più come un tentativo di difesa dall'opa ostile lanciata da Casini e favorita all'interno del Pdl dai vari Pisanu e Dini (qualcuno dice anche Frattini e Gelmini) piuttosto che una operazione tesa a creare sul serio un fronte unitario dei moderati.
Il voto ha però cambiato le condizioni e le carte in tavola. Perché ha dimostrato che il Terzo polo potrebbe anche chiamarsi Partito della nazione o Giuseppe ma se continua ad essere formato dai residuati bellici della Prima e della Seconda repubblica (Fini e Rutelli) non ha alcuna possibilità di intercettare i voti del Pdl. Ha messo in chiaro che con un sistema proporzionale privo della correzione presidenzialista l'Italia sarebbe condannata ad una ingovernabilità drammatica come quella della Grecia. Ed ha trasformato il disegno berlusconiano del rassemblement da strategia di contenimento dell'offensiva di Casini nella sola operazione in grado di realizzare, in un quadro di confermato bipolarismo, una alternativa possibile al fronte della sinistra. Questo significa che il Partito della nazione potrebbe coincidere con il rassemblement dei moderati, magari sotto l'egida e con l'etichetta di quel Partito popolare europeo in cui figurano siano i casiniani che i berlusconiani?
Niente affatto. Perché c'è un ostacolo gigantesco da superare.
Che è quello rappresentato dal nome di Berlusconi. Per gli
esponenti dell'ormai rottamato Terzo polo, infatti, non è
sufficiente che il Cavaliere abbia fatto un passo indietro.
Dovrebbe ritirarsi direttamente a vita privata o, meglio, seguire
l'esempio di Greta Garbo o Mina e scomparire in maniera definitiva
in qualche rifugio segreto ed inaccessibile. Ma dopo il voto di
domenica c'è una seconda pregiudiziale. Che non viene posta dai
sostenitori del Cavaliere ma direttamente dagli elettori. Ed è
quella che indica in maniera fin troppo evidente che a fare una
raffica di passi indietro dovrebbero essere anche i componenti di
quella parte della classe politica che ha cercato di liquidare il
berlusconismo non per far fare al paese un balzo in avanti ma per
riportarlo indietro nell'orologio della storia agli anni della loro
gioventù nella Prima repubblica.
Insomma, se l'ostacolo al rassemblement è Berlusconi,
l'impedimento al Partito della nazione sono Fini, Rutelli, Pisanu,
Dini e lo stesso Casini. Come dire che lo schieramento dei moderati
alternativo a quello della sinistra può nascere solo a condizione
che a fare il passo indietro non sia solo il Cavaliere ma anche
quelli che avrebbero voluto sostituirlo e che rappresentano agli
occhi degli elettori del centro destra il vecchio da rimuovere se
si vuole tornare a vincere. C'è, dunque, un problema generazionale
da risolvere. Magari senza rottamazioni traumatiche ma, di sicuro,
con un generoso arretramento collettivo delle vecchie facce senza
voti.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:11