Non ci vuole grande acume nel rilevare come il voto di domenica
scorsa abbia messo una solida pietra tombale sopra il progetto di
modificare la legge elettorale in senso proporzionale. Chi pensava
che attraverso l'adozione di un sistema ispirato a quello tedesco
l'Italia avrebbe potuto superare l'instabilità provocata dal
bipolarismo primitivo della Seconda repubblica e raggiungere i
livelli di stabilità politica della Germania, ha dovuto prendere
dolorosamente atto che puntando a Berlino si rischia di finire ad
Atene. Se si votasse con il proporzionale, sia pure corretto con un
alto sbarramento, infatti, l'unico risultato possibile sarebbe la
riproposizione di quanto si è verificato in Grecia.
Dove mettere in piedi un qualsiasi governo sembra essere
un'impresa disperata e dove l'unica strada possibile per rompere la
spirale dell'instabilità governativa sembra essere quella
dell'ennesimo ritorno a qualche colonnello, magari camuffato da
economista sostenuto dai banchieri tedeschi e francesi.
L'insegnamento del voto amministrativo non vale solo per il Pdl,
che è stato sconfitto, e per il Terzo Polo, che è stato smascherato
mostrando la sua faccia di operazione di palazzo priva di qualsiasi
sostegno popolare.
Vale soprattutto per quel Partito Democratico che apparentemente
non ha subito flessioni ma che, anche conservando il ruolo attuale
di partito di maggioranza relativa, non avrebbe mai la possibilità
di dare vita ad un qualsiasi governo di coalizione nel quadro di
polverizzazione parlamentare che verrebbe fuori da un voto
celebrato con un sistema proporzionale. Il rischio di finire come
la Grecia dovrebbe, dunque, spingere le forze politiche (non solo
quelle maggiori) a riconsiderare il bipolarismo primitivo della
Seconda repubblica. Non per recuperarlo così com'è e confermarlo
nella sua versione rozza e grossolana del Porcellum. Ma per fare
tesoro sia dell'esperienza greca che di quella del voto in Francia
per eliminare la parte primitiva, rozza e grossolana e realizzare
un sistema bipolare adeguato alla necessità del paese di avere un
governo che, oltre essere eletto direttamente dal popolo, abbia la
stabilità necessaria per affrontare l'emergenza.
Il perfezionamento del bipolarismo passa attraverso una strada obbligata. Che può essere definita del premierato o del presidenzialismo. Ma che, in ogni caso, deve prevedere che il capo del governo diventi tale attraverso un'investitura popolare e sia rappresentativo di un ampio schieramento di forze politiche. E' indifferente se tutto questo si realizzi attraverso il doppio turno o il maggioritario uninominale di collegio. L'importante è che il meccanismo garantisca un esecutivo stabile per quattro o per cinque anni. Che il premier non possa essere eletto per più di due volte. E che sappia aggregare attorno a sé uno schieramento di forze politiche effettivamente rappresentative degli interessi e delle necessità dei propri elettori.
Per ottenere questo risultato non è necessario compiere stravolgimenti di natura costituzionale per cui non ci sono né i tempi né le condizioni. Basta correggere adeguatamente l'attuale legge elettorale. E, soprattutto, è necessario che invece di pensare ai percorsi isolati, come è avvenuto nelle amministrative, i partiti riprendano la strada delle aggregazioni bipolari. Per il Pdl, la Lega, il Terzo Polo e la Destra questo è un percorso praticamente obbligato. L'alternativa è la loro marginalizzazione. Per il Pd vale la stessa considerazione. Perché l'alternativa è arrendersi a Beppe Grillo. Il che sarebbe ancora peggio della marginalizzazione del centro destra.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:09