L'unico elemento degno di nota nella cosiddetta spending review è che finalmente al centro del dibattito politico si trova il taglio della spesa pubblica, ovvero il principale nodo da sciogliere per abbassare la pressione fiscale, sperando di riprendere la strada dello sviluppo e della crescita economica. Ma a parte ciò, si ha l'impressione che tra un traccheggiamento e l'altro, tra una continua creazione di burocratiche scatole cinesi, composte da ulteriori uffici e commissioni ad hoc, il governo non sappia bene come e dove affondare il bisturi dei tanto paventati tagli. Una cosa è però certa: non si può ragionevolmente pensare di raggiungere un qualche risultato concreto se si continuano a mettere in campo iniziative e provvedimenti che sembrano delle vere e proprie pagliacciate demagogiche. Su questo piano non si può non restare molto negativamente impressionati dal modulo, la cui compilazione viene proposta a tutti i cittadini sul sito del governo, denominato "Esprimi la tua opinione".
Trattasi, a parere dei cervelloni che lo hanno elaborato, di uno strumento di comunicazione creato per offrire «alle persone la possibilità di dare suggerimenti e segnalare uno spreco, aiutando i tecnici a completare il lavoro di analisi e ricerca delle spese inutili». Ma se così stessero le cose, ovvero se il dimagrimento di una spesa pubblica colossale fosse legata ad un semplice problema di buona amministrazione, tanto varrebbe licenziare i professori al timone e assumere un piccolo esercito di ragionieri da sguinzagliare qua e là sul territorio nazionale. Ma le cose, ahinoi, non stano affatto in questi termini. Gli sprechi e la cattiva aministrazione, fatti salvi gli elementi di culturali di ogni popolo che possono attenuare o ingigantire il problema, rappresentano essi stessi un portato di un evidente eccesso dell'intervento pubblico. In altri parole, maggiore sarà il controllo politico delle risorse - attualmente esso viaggia intorno al 54% del Pil - e maggiore risulterà la propensione del sistema pubblico a sperperare i soldi del contribuente. E ciò in base al principio aureo che ogni buon liberale dovrebbe ben conoscere, secondo il quale con i quattrini degli altri è molto facile essere prodighi, soprattutto con parenti, amici ed affiliati.
Pertanto, appare evidente che in questa ottica solo riducendo il perimetro complessivo della mano pubblica - il che tradotto significa semplicemente meno Stato e più spazio alla libera iniziativa della società spontanea - è possibile abbattere di una pari percentuale il livelli dei citati sperperi.
È ovvio, sotto questo profilo, che qualunque servizio gestito in monopolio dalla stessa mano pubblica, contrariamente a chi opera sul mercato concorrenziale, si presta a qualsiasi forma di spreco, poichè si possono dilatare all'infinito organici e investimenti inutili, scaricandone i costi finali sulle tariffe o sulla fiscalità generale.
Questa è la base fondamentale della crescita incontrollata di una spesa pubblica che ha oramai raggiunto gli 850 miliardi di euro.
Una spesa alimentata da una serie di inesorabili dinamiche interne le quali non saranno certamente, quanto meno, contenute rispolverando in modo veramente ridicolo gli antichi "cahiers de doléances". Restando pericolosamente a pochi metri dal baratro, non possiamo pensare di salvare il paese con simili escamotage. Tagli la spesa, signor presidente del Consiglio Monti, e lo faccia in modo incisivo, altrimenti siamo veramente spacciati! Le suppliche e le petizioni di stampo settecentesco lasciamole nei libri di storia.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:34