Mentre aumentano le nostre difficoltà ecomiche e finanziarie, all'interno della nebbia politica che sempre più fitta avvolge il paese si nota tutto un fiorire di annunci e di iniziative tese a richiamare l'attenzione di un elettorato sempre più stanco e disilluso. Tra partiti nuovi messi in piedi da gente vecchia del mestiere, tra svolte epocali basate sul nulla, tra arruolamenti strumentali di leader stranieri -clamoroso il caso di Hollande, entrato a sua insaputa ad ingrossare le truppe di Bersani - e tra strane epurazioni per rifarsi un verginità condotte a colpi di ramazza e di espulsioni mirate, il panorama risulta veramente molto desolante. Sembrano prevalere, nonostante l'evidente necessità di una svolta politica che sia in grado di prendere decisioni tanto impopolari quanto dolorose, quelle classiche operazioni di facciata con cui cercare di accaparrarsi una fetta di consenso popolare, utilizzando le tecniche più spregiudicate del marketing pubblicitario.
Forse sbaglierò, ma credo che la stagione politica delle foglie
di fico e degli specchietti per le allodole sia definitivamente
tramontata, soprattutto dopo il ventennio della cosiddetta seconda
Repubblica. Un ventennio che, nonostante i presupposti iniziali, ha
amplificato le nefaste tendenze ereditate dalla prima Repubblica e
la cui fase finale è passata alla storia come il regno della
corruzione partitocratica. Dati alla mano, l'epopea del bipolarismo
ha visto crescere il livello dell'intervento pubblico nella
società, evidenziato da tre fattori in costante lievitazione: spesa
pubblica, pressione fiscale e indebitamento dello Stato.
Ossia, i medesimi fattori che, ahinoi, costituiscono ancor oggi
non solo il principale ostacolo alla crescita economica italiana,
ma anche la causa di uno squilibrio strutturale che, avendo
consentito ad una parte della società di vivere sopra le proprie
possibilità, sta portando il sistema sulla soglia del fallimento.
Ed è ovvio che trovandoci in una sorta di vicolo cieco sarebbe
necessario, sebbene poco affascinante proprio sul piano del
marketing elettorale, elaborare un progetto quanto mai realistico
da presentare al paese, evitando quella tipica predisposizione dei
politici, soprattutto in Italia, a vendere fumo, promettendo panem
et circenses per tutti.
In altri termini, pur comprendendo le ragioni che in tempi normali
spingono gli stessi politici a cercare le strade più facili per
raggranellare voti, in una situazione come l'attuale gli slogan
altisonanti ed i suggestivi cambi di nome possono bastare ai
partiti per rendersi credibili al cospetto di una popolazione
sempre più afflitta e disorientata. In particolare, dal lato del
cosiddetto popolo moderato, non possiamo pensare di mettere in
piedi una proposta alternativa al collettivismo all'amatriciana
della sinistra sulla base di agglomerati di politici di
professione, di tecnici dei soliti imprenditori prestati alla
democrazia elettiva; o semplicemente creando dei contenitori
nominalistici senza né capo e né coda.
Occorrerebbe invece spiegare alle componenti più responsabili della collettività che l'epoca della vecche grasse, sostenuta dal continuo ricorso all'aumento delle tasse ed all'indebitamento, è definitivamente conclusa. Pertanto, da questo punto di vista, l'unica svolta possibile da presentare al paese non può che passare per una programmatica riduzione del perimetro pubblico in tutte le sue molteplici articolazioni.
In altri termini, si tratterebbe di proporre e di realizzare quella tanto auspicata svolta liberale che l'Italia aspetta da fin troppo tempo, onde consentire al paese reale di far emergere le sue enormi potenzialità, soffocate da decenni di progressivo e strisciante collettivismo. Il resto, a mio modesto parere, sono solo chiacchiere e paccottiglia.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:33