Il vero 25 aprile è quello di Pannella

Viva il 25 aprile di Marco Pannella. Non c'è dubbio. Chi ha partecipato alla marcia promossa dai radicali "per l'amnistia, per la repubblica e per la riforma della giustizia" non può non rendersene conto: è stato quello il vero 25 aprile che unisce e non continua a dividere gli italiani tra odio e risentimento, buoni e cattivi, fascisti di repertorio e anti fascisti della retorica. E il comizio tenuto davanti al Senato da Super Marco a bordo del camion musicale jazzistico della Carlo Loffredo Band rimarrà un cult, un classico di quella politica che è anche amore, ricordo, buona fede. Il vero antidoto all'antipolitica dei mestieranti cinici e dispotici alla Grillo e alla Di Pietro. Ma anche al cappio boomerang della lega di Bossi. Bisognava vederlo questo vecchietto arzillo di 82 anni per 190 e passa centimetri, con una coda di cavallo bianco, agitarsi su una sedia dentro al camion della band e dimenarsi a ritmo di jazz sulle note di Mille lire al mese, molto attuale di questi tempi, o cantare «Fiorin Fiorello, l'amore è bello pensando a te». In fondo Pannella è anche questo: un ponte umano e politico tra un passato che affonda i propri ricordi nella guerra e nel dopoguerra, con l'Italia del piano Marshall, della ricostruzione, ma anche della speculazione edilizia e politica, e il futuro, attualmente pieno di incognite e vuoto di progetti di riforme credibili. E lui è sempre stato lì con noi, con loro e con quegli altri ancora. Con la gente.

A raccontare che la vera utopia non è la politica liberale o il guardare avanti ma il rimanere chiusi nel proprio comodo corporativismo che "il fascismo dell'antifascismo" ha ereditato direttamente dal crepuscolo di quell'infausto ventennio. L'Italia della Dc ieri e quella di questo putridume partitocratico oggi non è altro che l'erede di sessant'anni di illegalità costituzionale. Oggi che tutti i nodi vengono al pettine è veramente paradossale invocare Grillo e Di Pietro per cambiare le cose quando c'è un sano Pannella a portata di mano e di voto. E questo paradosso è il frutto di una informazione ieri legata a carri politici e oggi a carrozzoni industriali peraltro in disfacimento, vista la congiuntura di crisi in atto.

Quei tribuni televisivi della sinistra che ieri dileggiavano Pannella perché promuoveva referendum sul finanziamento pubblico dei partiti, la golden share, l'abolizione dell'ordine dei giornalisti con che faccia («come il culo», direbbe l'interessato, anzi ha detto nell'unica puntata di Ballarò cui partecipò, per volere dell'autorità garante sulle telecomunicazioni, al malcapitato Dario Franceschini) oggi promuovono dibattiti sui medesimi argomenti, con vent'anni di ritardo e senza invitare chi per primo e con lungimiranza tentò invano di proporli all'attenzione dell'opinione pubblica?

Oggi dopo sessant'anni qualcuno si è accorto persino che dentro i partiti non esiste quella democrazia (e lo stesso dicasi per sindacati con gli articoli 38 e 39) che veniva postulata dall'articolo 49 della Costituzione. E questa mancanza ha portato ai casi Lusi, ai casi Belsito e soprattutto ai casi e ai casini di chi dietro le malefatte del tesoriere nasconde le proprie, di mandante politico e istituzionale. 

Pannella nei propri comizi, come quello bellissimo con cui ha ringraziato il presidente del Senato, Renato Schifani, per aver fatto organizzare il simposio sulle carceri e la giustizia che si tenne lo scorso 28 luglio in un aula di pertinenza di palazzo Madama (quello stesso convegno in cui anche il presidente Napolitano espresse il proprio impotente imbarazzo e orrore di fronte a una situazione di illegalità costituzionale, delle leggi ordinarie e dei diritti umani), non può fare sconti a nessuno. 

Perché per gente come lui la politica non è l'arte del compromesso e del possibile, che in Italia si traduce in immobilismo e palude, bensì quella della rottura lungimirante e della fuga in avanti. Fuga quasi sempre in solitaria perché, nonostante i suoi quasi 82 anni (li compirà il 2 maggio), nella corsa politica e istituzionale non ci sono gambe di nano (Alfano, Bersani, Casini, Fini, Vendola o Di Pietro) che tengano per stare dietro a un gigante buono come Marco Pannella. Viva quindi, ancora una volta, il suo 25 aprile. E viva la faccia di chi, a 82 anni quasi suonati, mantiene intatta la propria passione politica e il proprio entusiasmo da ex goliarda universitario, esistenzialmente prestato prima al giornalismo e poi al partito radicale stesso.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:30