Hollande-Sarkozy, disastro assicurato

Chiunque vinca per noi rischia di essere un disastro. Perché se la spunta Hollande non avremo alcuna possibilità di frenare i demagoghi della sinistra post-comunista che chiederanno di riportare l'età pensionabile a sessant'anni, di creare nuove e più robuste legioni di dipendenti pubblici e cercheranno di imbrogliare l'opinione pubblica sostenendo che facendo pagare le tasse ai ricchi con nuove patrimoniali oltre quella dell'Imu, sarà possibile finanziare l'ennesima dilatazione dello stato burocratico-assistenziale.

Ma se la spuntasse Sarkozy potrebbe andare anche peggio. Perché, forte della seconda investitura, il piccolo Napoleone dell'Eliseo potrebbe improvvisare qualsiasi sciocchezza, come ha fatto scatenando una guerra di Libia solo per preparare la campagna elettorale all'insegna della propria "grandeur". E le sue arroganti mattane, tutte ispirate ad un ridicolo sciovinismo d'altri tempi, come già è avvenuto in passato si rifletterebbero negativamente sull'intera Europa e sul nostro paese.

Bisogna, allora, considerare il voto francese, qualunque possa essere il suo esito, una iattura da fronteggiare e contenere ad ogni costo. Seguire per imitazione il ritorno al passato di Hollande o le forsennatezze di Sarkozy sarebbe un disastro da scongiurare con tutti i mezzi possibili.

Ma come compiere una operazione del genere in un paese malato di esterofilia e, soprattutto, abituato ad imitare non sempre il meglio ma troppo spesso il peggio che viene dall'estero? Giuseppe Mazzini direbbe che l'Italia dovrebbe tornare  "a fare da se". Il che non significa ignorare ciò che avviene a Parigi o nel resto dell'Europa e nel mondo. Ma significa capire che non esiste una ricetta esterna per i nostri problemi ma è necessario elaborare una strada italiana per condurre l'Italia fuori da una crisi che ha dimensioni internazionali ma assume caratteristiche particolari in ciascun paese.

I partiti, soprattutto quelli che oggi preannunciano grandi cambiamenti per recuperare un consenso svanito nell'antipolitica e nella sfiducia, dovrebbero rendersi conto della necessità di "fare da se" nell'elaborare una proposta di uscita dalla crisi calata sulle esigenze e le peculiarità del paese. Fino ad ora non è stato fatto nulla di tutto questo. Anzi, è stato fatto proprio l'esatto contrario. Il Pd di Pierluigi Bersani accende ceri affinché Hollande la spunti con il suo programma vetero-socialista per poterlo adottare in blocco in un paese che però ha già pagato prezzi esorbitanti al vetero-socialismo da oltre sessant'anni.

L'Udc di Pierferdinando Casini si trasforma nel Partito della nazione ma conserva come unica e sola linea politica e programmatica quella del "Monti ha sempre ragione". Come se fosse sul serio possibile far uscire l'Italia dal pantano della crisi continuando ad applicare la ricetta tedesca di un rigore che serve solo a garantire la tenuta della Germania a spese del resto dell'Europa. Ed anche il Pdl, all'interno del quale non mancano fermenti positivi nella direzione di una ricetta nuova ed autonoma per il futuro, appare poco consapevole della necessità di fissare una linea che senza ottuse e sbagliate scopiazzature riaccenda la speranza degli italiani per una nuova fase di stabilità e benessere. Serve, in sostanza, un progetto nazionale per il nostro paese. Chi sarà in grado di realizzarlo senza imitare Hollande o Sarkozy diventerà il protagonista del dopo-Monti.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:14