A chi davvero fanno paura le elezioni anticipate se comunque gli interessi su debito sono destinati a rimanere elevati? Gli italiani si sentono ingannati. Il governo Monti ha perso quel crisma di risolutezza che era stato capace di raccogliere agli esordi e ha smentito se stesso.
La poco accorta campagna di comunicazione iniziale basata sul binomio "salva Italia" e "cresci Italia", tenuto insieme dal fragile e velleitario slogan dell'equità, si è rivelata una autentica bufala. Dell'ambiziosa seconda gamba dell'azione di governo, lo stimolo alla crescita, non ne è rimasta traccia degna di menzione. Il Def presentato dal governo, insieme a un discorso di Monti dai toni lugubri e vagamente ricattatori, è la dimostrazione che questo governo le cose che era in grado di poter fare le ha fatte e, rebus sic stantibus, sorge spontanea la domanda: a chi serve ancora il governo Monti? L'obiettivo di breve termine di evitare l'insolvenza dello Stato verso i suoi creditori è stato centrato mediante un sostanziale trasferimento degli oneri del debito pubblico sulle tasche dei cittadini con lo strumento della leva fiscale.
Ma la realtà dura e pura della necessità di dover rinnovare le quote di debito in scadenza nei prossimi anni a tassi comunque assai elevati - sentenza emessa con spietata e matematica precisione dal Fmi - evidenzia che la cura Monti non è sostenibile per l'Italia nel medio periodo. Troppa spesa pubblica e troppo debito, anche sul lungo periodo, nel paniere del Professore, con previsioni di sviluppo risibili e un Pil in coma profondo, che fanno permanere un alto e insopportabile premio rischio sul nostro "sistema paese".
Relegata la spending review del ministro Giarda nel limbo fumoso di un piano quinquennale da consegnare di fatto al prossimo governo, constatate le crescenti frizioni e divergenze che emergono nella maggioranza che sostiene il governo in Parlamento, su temi rilevanti quali la Giustizia e le telecomunicazioni, il disegno politico di Giorgio Napolitano di tirarla per le lunghe fino al 2013 sembra mostrare tutti i suoi limiti e i rischi crescenti di un tracollo del sistema politico verso la ingovernabilità.
Si spera che la Germania, dopo la assai probabile vittoria di Hollande in Francia, molli un poco la presa. Ma con le speranze di un improbabile generosità teutonica non si fa la spesa al mercato e i tempi dell'Eurogruppo non coincidono con quelli della politica nostrana. A giugno, con la scadenza Imu che colpirà anche i ceti del pubblico impiego, oltre al vasto popolo della piccola impresa, i consensi popolari al governo sono destinati a subire un tracollo, la rabbia e la sfiducia continueranno a montare a fronte di zero prospettive per il futuro.
Palazzo Chigi non ha più conigli nel cilindro per tenere in riga i partiti che lo sostengono con sempre maggiore fatica, tranne la continua evocazione dello spettro della Grecia. La prospettiva nostrana è ormai di una campagna elettorale strisciante, che si protrae per un anno in un'atmosfera di cupio dissolvi degli attuali partiti atterriti dallo spettro, sempre più concreto ogni giorno che passa, di un Beppe Grillo in Parlamento alla testa di una nutrita falange di desperados.
Se questo Parlamento e il governo in carica non hanno più nulla da offrire a un paese travolto e avvilito dalla più severa crisi dell'era contemporanea, sarebbe naturale e salutare, per una democrazia sana, s'intende, che il Presidente della Repubblica sciogliesse al più presto le Camere per dare il potere ai cittadini di mobilitarsi e decidere sul proprio destino evitando il protrarsi nel tempo di una inutile agonia del sistema democratico consegnandolo a un futuro dalle incerte e inquietanti prospettive.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:38