L'Europa è in crisi e con essa l'Italia ormai in recessione e con grandi difficoltà nella disponibilità di credito per le imprese e le famiglie. È una crisi da debiti sovrani allargata ad uno scontro di interessi planetari, che si ripercuote sui confini delle sovranità nazionali mettendone in discussione ogni aspetto e travolgendo sia i governi che le consuetudini sociali.
Né viene in aiuto quella che un tempo si chiamava la locomotiva dell'Europa, la Germania, il cui obiettivo è quello di realizzare i propri interessi, soprattutto ora che gli Stati membri hanno sottoscritto il Trattato di "fiscal compact".
Martedì 10 aprile è stato un giorno nero per le borse in calo in tutta Europa e con un record negativo per quella di Milano a meno cinque per cento, mentre lo "spread" è risalito oltre quota quattrocento.
Da una diagnosi fatta dal premier Monti ancora in terra egiziana, si rileva che: «lo spread è un dato imprevedibile, ci sono tanti fattori che lo spingono in alto e in questa fase non pensiamo che ci sia una specifica ragione italiana a farlo volare»
Senonché, a prescindere dalla diagnosi montiana, il terremoto finanziario in Europa è da attribuire a quanto sta avvenendo nelle due principali potenze mondiali: negli USA le previsioni dei rendiconti trimestrali delle aziende sono in calo di profitti, mentre dalla Cina arriva la conferma che il rallentamento della locomotiva asiatica è un dato di fatto evidenziato dalla frenata delle importazioni, e ciò si riflette soprattutto nei paesi occidentali.
Dati questi presupposti, Massimo Riva, nel suo fondo su "La Repubblica" dell'11 aprile, annota: «In un Paese come l´Italia questo mutamento del quadro internazionale riporta con prepotenza in primo piano il tema finora più trascurato dei tre impegni proclamati dal governo Monti: quello degli stimoli alla crescita. La strategia dei due tempi - prima il rigore con l´equità e poi, appunto, la crescita - appare ormai superata dagli eventi. Alla lunga i mercati si rivelano sempre intelligenti. In questi mesi hanno dato chiari giudizi di apprezzamento per l´austerità fiscale realizzata nel Paese senza troppi contrasti sociali, come ha testimoniato il corso finora discendente del differenziale con i titoli tedeschi.
Ma ora giustamente cominciano a chiedersi se la minaccia di default scongiurata con misure rapide di fiscalità straordinaria non possa ripresentarsi da un altro lato: quello di una caduta della crescita tale da vanificare il risanamento momentaneo dei conti per effetto dell´impoverimento collettivo del Paese». In effetti Mario Monti è coerente con la linea di politica economica che ha seguito fino ad oggi a Roma come a Bruxelles, basata sulla strategia della crescita, contrapponendosi alla cancelliera Angela Merkel per la quale pagano soltanto l'austerità ed il rigore. Proseguendo in questa strategia il premier italiano, in vista del summit di giugno, come si vocifera in ambito governativo, vuole sferrare l'attacco decisivo: «creare consenso affinché la Germania, in particolare la Bundesbank, accetti una vera politica di crescita», ben sapendo che senza crescita gli sforzi fin qui fatti dall'Italia potrebbero restare inutili.
Anche il candidato socialista alla presidenza della Repubblica francese, François Hollande, aspira ad una Europa «più solidale, protettiva e democratica e che soprattutto si doti di strumenti efficaci per rilanciare la crescita e guidare la sfida verso progressi che sono indispensabili per l'avvenire dell'Europa».
A questo riguardo la responsabilità della Germania è del tutto evidente, avendo peraltro impedito in occasione di un'importante decisione dell'UE, quale quella di aumentare il Fondo Salva-Stati permanente che scatterà dal primo luglio prossimo, che questo Fondo fosse superiore a 500 miliardi di euro. Il che dimostra che la Germania in Europa fa il bello e il cattivo tempo e tutti gli Stati membri, se vogliono progredire, debbono lottare contro l'intransigenza tedesca.
Invero, gli organismi comunitari continuano a subire le pressioni tedesche e quindi non riescono a varare vere misure per la crescita. Non si può più sopportare che l'Europa non reagisca alle pressioni della Germania.
Ecco perché tutti gli Stati membri debbono coalizzarsi per riportare nei giusti limiti la posizione dominante della Germania. L'occasione è prossima e sarà il summit europeo di giugno.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:34