Governo tecnico e libertà di critica

Ma quanti sono questi benedetti esodati? Sessantacinquemila? Come dice la ministra Elsa Fornero rilevando che per costoro le risorse bastano ed avanzano?Trecentocinquantamila? Come afferma la segretaria della Cgil, Susanna Camusso, sostenendo che i soldi previsti dal governo non bastano e che Monti scherza con il fuoco consentendo ai suoi ministri di dare i numeri su questioni così importanti? Oppure è vero che la verità stia, come spesso accade, nel mezzo? E che gli esodati non siano né 65mila e neppure 350mila ma 175mila, a dimostrazione che la Fornero scherza con il fuoco, che la Camusso gioca con la benzina e che tra i tanti incendi da spegnere c'è anche quello che riguarda le vittime incolpevoli di una riforma delle pensioni un po' troppo frettolosa?

Gli interrogativi sono aperti. Ed è difficile che possa essere chiusa facilmente. Il sospetto è che nessuno sappia esattamente di cosa stia parlando. E che il governo minimizzi e la Cgil esageri interpretando in maniera scontata i rispettivi ruoli. Ma se da parte del sindacato che ha scelto la strategia dell'opposizione sociale la strumentalizzazione può apparire ripetitiva e banale ma comprensibile, non così può dirsi per il governo. Perché se le forze sociali hanno il compito di sollevare i problemi, l'esecutivo ha la responsabilità di risolverli. Soprattutto se ha contribuito a determinarli. 

Questa considerazione costituisce una critica al governo? Sicuramente sì. Si tratta di una critica che può risultare fondata o infondata. I fatti lo dimostreranno. Ma che pone una questione addirittura più grave ed importante di quella creata dalla diatriba sui numeri tra la Fornero e la Camusso. 

Ma il governo del Presidente, dei tecnici e dell'emergenza, l'esecutivo voluto dai mercati e dall'Europa, quello dell'ultima spiaggia e della salvezza dal baratro, può essere sottoposto ad osservazioni, a contestazioni, a critica?

Dario Di Vico, sul Corriere della Sera, interpretando la convinzione diffusa tra i sostenitori ad oltranza di Mario Monti, ha lasciato intendere che, non essendoci alcuna alternativa all'attuale esecutivo, ogni osservazione, critica e contestazione rischia di indebolirlo nei confronti dei mercati internazionali e dell'Europa. Di conseguenza, secondo questa convinzione, chi critica indebolisce e penalizza l'intero paese.

Ma la tesi secondo cui un governo senza alternative non può essere criticato e deve essere lasciato libero di compiere anche degli errori, visto che dopo di lui il diluvio, sembra tratta da una raccolta del "Corriere della Sera" degli anni '30. In una democrazia liberale vale l'esatto contrario. Cioè che proprio l'assenza di alternative praticabili all'esecutivo in carica impone alla libera stampa ed alle forze politiche e sociali di esercitare il massimo dell'attenzione critica nei confronti del governo. Non per indebolirlo ma per impedirgli di compiere errori destinati a renderlo meno credibile agli occhi dell'opinione pubblica del paese e dei mercati internazionali. Paradossalmente, è proprio nei momenti dell'emergenza che giustifica la formazione di governi tecnici e privi di qualsiasi alternativa politica, che diventa non solo necessario, ma addirittura indispensabile esercitare il massimo della critica. L'emergenza, infatti, assicura l'inamovibilità temporanea del governo privo di investitura popolare ma non stabilisce l'infallibilità. Se lo facesse, la democrazia liberale diventerebbe il regime dei colonnelli e Mario Monti un tardivo emulo di Salazar. Può essere che qualcuno, in cuor suo, sia convinto che per il nostro paese l'unica salvezza passi proprio attraverso la sospensione della democrazia liberale e l'avvento di un regime tecnocratico di stampo autoritario. Ed è probabile che le forsennate campagne di denigrazione della classe politica (favorite dal comportamento dissennato della stessa) siano dirette proprio a favorire uno sbocco del genere, istituzionalizzando l'emergenza con la formazione di governi autoritari. Ma se è così è bene mettere le carte in tavola e fare chiarezza. Ai governi della salvezza e della Provvidenza gli italiani hanno già dato. Come dimostrano le raccolte del Corriere dal '26 al '45.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:13