I crolli borsistici di queste ultime due settimane, uniti alla forte impennata dell'italico spread, hanno rappresentato una vera e propria doccia fredda per tutti quegli ingenui e sprovveduti che hanno preso per buoni gli indirizzi salvifici del governo Monti.
In realtà, si è scoperto che lo stesso spread era momentaneamente tornato a livelli rassicuranti, trascinando all'insù Piazzaffari, non in virtù delle manovre salva Italia - che personalmente definirei ammazza Italia - messe in campo dall'esecutivo dei professoroni, bensì le tumultuose acque della speculazione si sono calmate solo grazie ad un trucco.
Ossia alla partita di giro realizzata tra la Bce di Mario Draghi, le banche italiane e i titoli del nostro colossale debito. In breve, le stesse banche sono state inondate di liquidità, attraverso il famoso prestito all'1% di interesse, con il tacito accordo di utilizzare una buona parte di questi fondi nell'acquisto dei medesimi titoli pubblici.
Una operazione, quest'ultima, molto simile a quella che i governi della prima Repubblica concertavano con la Banca d'Italia per rastrellare sul mercato i buoni del tesoro rimasti invenduti, in cambio di un forte aumento dell'inflazione causato dalla stampa di banconote in eccesso.
Ora, dato che i mercati internazionali non sono fessi e dunque, come si suol dire, tendono a comprare il "tappeto" solo dopo averlo visto, si sono accorti che il Paese è entrato in una spirale assai negativa, peggiorata proprio dalla insensata cura fiscale operata da Monti & soci, ed hanno reagito posizionandosi ancora una volta al ribasso sui titoli pubblici. Ciò, dato che per l'appunto le nostre banche ne sono piene, ha provocato un effetto domino in tutto il comparto finanziario del sistema.
D'altro canto, mi vedo costretto a ripeterlo fino alla nausea, se i medesimi mercati avessero sentore di una ripresa italiana anche in tempi relativamente lunghi, avrebbero cominciato a premiare selettivamente le azioni di quelle imprese che prima di altre mostrassero segni di rinascita.
Ma così non è. Il collasso degli indici, che per la cronaca ci ha riportato sotto il valore infernale di fine 2011, è assolutamente generalizzato e, a mio parere, appare del tutto rappresentativo di un sistema Paese in recessione, affetto da collettivismo strisciante, con un eccesso di tasse, di spesa pubblica e di regolamentazione, checché ne dicano i fautori delle false riforme sul piano delle liberalizzazioni e del mercato del lavoro.
Un Paese che non può pensare di raddrizzare la baracca solo aumentando le imposte, senza sfiorare il moloch di una spesa pubblica sempre più fuori controllo. Oramai l'esperienza di mezzo mondo dovrebbe aver convinto pure i cervelloni al timone dello Stato che quando imposte e spesa superano una certa aliquota sul Pil - e noi da tempo siamo ben oltre ogni limite ragionevole - il sistema economico cessa di crescere, determinando come prima conseguenza il crollo del gettito fiscale allargato. E quando questo accade, caro professor Monti, non c'è trucco contabile che tenga. Ed il fuggi fuggi dai nostri Btp sul mercato secondario di questi ultimi giorni lo conferma. A questo punto, anche questo ripetuto fino alla nausea, solo un taglio draconiano della spesa corrente ci potrebbe salvare, consentendo in tal modo di adottare l'unica misura per la crescita possibile: l'abbattimento della pressione fiscale. Al di fuori di ciò, ahimè, vediamo solo il fallimento.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:05