Lo spread che sale e la borsa che scende mettono fine alla
ricreazione pre-elettorale a cui si erano abbandonati i partiti in
vista delle prossime amministrative nella convinzione che Mario
Monti avesse compiuto il miracolo e risolto la crisi. La campanella
del mercato ha risuonato. Ed ora tutte le forze politiche della
maggioranza occasionale che sostiene il governo tecnico sono
costrette a rientrare in classe ed a mettersi ai propri banchi in
silenzio e con ordine. Già si parla, a questo proposito, della
possibilità che subito dopo il voto di maggio il governo possa
mettere la fiducia sulla riforma del lavoro. Per dare ai mercati
quel segnale di conferma di quella maturità dei partiti e del paese
che, secondo Monti, rappresenta l'unico modo per convincere
l'Europa, i governi stranieri e gli investitori del pianeta che
l'Italia è in grado di risanare se stessa ed uscire dalle
difficoltà di questa lunghissima ed estenuante fase
depressiva.
Può essere che l'ipotesi del ricorso al decreto legge dopo le
amministrative per superare le resistenze sulla riforma del lavoro
abbia un fondamento. Ma è certo che non basterà forzare la mano
sull'art. 18 per avviare concretamente un serio processo di ripresa
e di sviluppo del paese. Perché un conto è utilizzare il decreto
per lanciare un segnale rassicurante ai mercati e ribadire loro che
il governo tecnico dell'emergenza vuole fare sul serio. Un altro
conto è credere sul serio che possa bastare una modifica
dell'art.18 e di una parte marginale della normativa sul mercato
del lavoro per strappare il paese dal baratro verso cui sembra
indirizzato.
L'altro ieri il ministro Corrado Passera ha detto che contro la crisi servono riforme strutturali. Ed ha perfettamente ragione. Solo che fino a questo momento di queste riforme non vi è grande traccia. L'unica effettivamente realizzata dal governo Monti è quella sulle pensioni. Che però è stata fatta con un eccesso di frenetica precipitazione. Tanto da provocare la piaga dei 350 mila esodati che dovrà comunque essere risanata al più presto per impedire che l'Italia diventi dal prossimo autunno il paese dei roghi umani provocati dalla disperazione e dall'umiliazione. La riforma del lavoro, come si è visto, si è arenata sulle resistenze della Cgil e del Pd e potrà essere sbloccata solo con un ricorso (tutto da vedere) al decreto legge. Ma le altre dove sono? E, soprattutto, dove è l'indirizzo di fondo che dovrebbe ispirare l'intera azione riformatrice del governo tecnico? La preoccupazione maggiore deriva proprio da questo interrogativo. In quattro mesi di vita il governo Monti ha cercato di inviare segnali rassicuranti ai mercati ma non è stato in grado di fornire alcun segnale preciso sull'indirizzo strategico della propria azione risanatrice.
Qual è l'obbiettivo di fondo dei tecnici? Curare la sintomatologia dello stato burocratico-assistenziale che esercita un peso sempre più crescente ed insopportabile sui cittadini senza fornire servizi adeguati? Oppure è di curare la malattia rappresentata dall'espansione incontrollata della burocrazia e dell'assistenzialismo che, come una proliferazione tumorale, ha invaso ogni struttura dello stato nazionale? Fino ad ora a questo interrogativo non c'è stata risposta alcuna. Il che alimenta il sospetto che neppure Monti (non parliamo dei suoi ministri volonterosi ma inadatti alle scelte strategiche) sappia come diavolo rispondere. E solleva il timore che il governo dell'emergenza sia in realtà il governo del piccolo cabotaggio.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:26